Il Sole 24 Ore, 5 maggio 2018
La vittoria americana sui francesi di Tim
Elliott vince (e non di misura) la sfida con Vivendi e conquista i due terzi del consiglio Telecom, piazzando tutti i suoi dieci candidati. I francesi devono accontentarsi di cinque posti, ma esprimono ancora l’ad con Amos Genish che era il capolista. In un’assemblea che ha segnato il record di affluenza con oltre il 67,14% del capitale presente, la lista del fondo di Paul Singer ha ottenuto il gradimento del 49,84% della platea, pari al 33,46% del capitale ordinario totale, mentre la lista finita in minoranza si è fermata al 47,18% del capitale presente e al 31,67% del capitale totale. Lo scarto, che era minimo fino alla vigilia, si è poi ampliato, dopo qualche passaggio di fronte bilaterale, a favore degli americani che hanno sopravanzato i francesi per l’1,79% del capitale. Oltretutto Elliott era partito con l’handicap di una quota ridimensionata all’8,3% rispetto al 9,2% col quale aveva partecipato alla precedente assemblea, perchè alcune controparti finanziarie hanno richiamato i titoli. Risultano così nominati Fulvio Conti, Alfredo Altavilla, Massimo Ferrari, Paola Giannotti de Ponti, Luigi Gubitosi, Paola Bonomo, Maria Elena Cappello, Lucia Morselli, Dante Roscini e Rocco Sabelli e, per la “minoranza”, Amos Genish, Arnaud de Puyfontaine, Marella Moretti, Michele Valensise e Giuseppina Capaldo.
Lunedì pomeriggio a Roma si riunirà il nuovo consiglio, dove il capofila della lista vincente, l’ex ad Enel Fulvio Conti è candidato a una presidenza “indipendente”, senza le deleghe che saranno tutte attribuite all’ad Amos Genish. Questo per sottolineare la svolta, con un board da public company – anche se un po’ atipica, visto che il primo azionista resta Vivendi col 23,94% – e che non si è invece in presenza di un cambio di controllo. L’unica delega che non potrà andare al manager israeliano, in quanto straniero, è quella su sicurezza e Sparkle che era in capo a Franco Bernabè, terzo nome nell’elenco di Vivendi, ma non nominato per rispetto delle regole statutarie che impongono la maggioranza di eletti indipendenti di ciascuna lista. “Papabili” per il passaggio di testimone Gubitosi e Sabelli. Il primo atto del nuovo corso sarà di chiedere a Palazzo Chigi di eliminare i vincoli del golden power, che non dovrebbero avere più ragione d’essere.
Vivendi, comunque, è riuscita sorprendentemente a reggere il testa a testa fino all’ultimo, anche a fronte di un’affluenza straripante, strappando il consenso del 7,73% del capitale in mano agli investitori istituzionali, compresa la Caisse de depots et consignations (0,765%), la Cdp francese. Probabilmente, non si sa sulla base di quali informazioni di supposti consulenti/mediatori, i francesi contavano sulla neutralità della Cdp italiana, cosa che avrebbe riconfermato l’assetto di controllo dell’incumbent tricolore sotto l’egida transalpina, ma che sarebbe stata in contrasto con la decisione, presa all’unanimità del consiglio della Cassa che fa capo al Tesoro e alle Fondazioni, di prendere posizione nel capitale di Telecom. Cdp – spiegano fonti romane – ha votato per la lista promossa da Elliott perchè composta da personalità di mercato, tutti amministratori indipendenti (e tutti italiani), che ritiene possano aiutare al meglio l’ad a realizzare il proprio piano, liberandolo da condizionamenti di parte.
Un portavoce del gruppo francese, dopo l’assemblea che ha segnato il ribaltone, si è lasciato scappare con amarezza che il risultato non era stato “pilotato” dal mercato. Ma da Londra Elliott ha risposto con le cifre, dimostrando che al netto della propria quota (8,3%) e di quella della Cdp (4,933%), il 20,26% del capitale ha votato per il board indipendente, quasi il triplo di quanti hanno optato invece per lo status quo. Lo studio Trevisan, che tradizionalmente rappresenta per delega i fondi, questa volta ha fatto il record con un pacchetto complessivo del 27,92%. I piccoli azionisti/dipendenti Asati hanno portato il loro 0,5% a Elliott, sperando che resti nel capitale per almeno tre anni.
La verità, col senno di poi, è che Vivendi se l’è giocata male all’inizio, facendo dimettere i suoi consiglieri per far decadere il consiglio. Fonti informate fanno infatti sapere che all’assemblea del 24 aprile ci sarebbe stato un distacco incolmabile a favore del primo azionista, che non avrebbe perso neanche uno dei sei amministratori di cui Elliott aveva chiesto la revoca. Ma è inutile piangere sul latte versato. Vivendi – da Parigi – ha avvertito che «sarà estremamente vigilante nel far sì che Genish riceva assicurazione dai consiglieri presentati da Elliott che il piano industriale 2018-2020 possa essere realizzato nella sua interezza e coerenza», ribadendo che, col suo 23,94% resta il maggior azionista, con un «impegno a lungo termine» e sottolineando che prenderà «tutte le misure necessarie per preservare il valore della società e evitare che sia smantellata». Da parte sua Elliott ha ribadito «pieno supporto» a Genish, e «pieno allineamento» col suo piano industriale, augurandosi altresì che col management e un board indipendente Telecom possa considerare le sue proposte di creazione di valore, dal ritorno al dividendo in tempi appropriati, ad alternative sulla Netco dopo la separazione della rete, alla conversione delle risparmio.