la Repubblica, 5 maggio 2018
Difficile fondere la rete Tim con Open Fiber
roma Senza il voto decisivo della Cassa depositi e prestiti, che è un soggetto pubblico, il fondo Elliott non sarebbe riuscito a conquistare la maggioranza nel cda della Tim. Da ieri dunque, per questo motivo, lo Stato italiano recupera una centralità nelle telecomunicazioni nazionali. Può dire la sua sulla rotta di marcia della Tim e soprattutto sul destino della rete di cavi che è il bene più prezioso di questa azienda e tra i più importanti del Paese. Si rafforza allora lo scenario che vede più vicine la Tim e il suo competitore Open Fiber, la rete storica della prima e quella nascente della seconda. Proprio Cassa depositi e prestiti, che ha in mano il 4,933 della Tim ma anche la metà di Open Fiber, svolgerà un lavoro di raccordo tra le due aziende delle tlc e della banda larga. Raccordo, certo, e convergenza. Non è detto però che possa realizzarsi una coabitazione piena tra Tim e Open Fiber. Non è detto che le loro reti si uniscano e si intreccino fino a diventare una sola. Questo scenario di totale fusione incontra, ancora oggi, importanti ostacoli. Il fondo Elliott era partito sei mesi fa con l’acceleratore al massimo. Il suo piano per Tim, alternativo a quello di Vivendi, prevedeva esplicitamente la separazione proprietaria tra il colosso tlc (Tim appunto) e la sua rete. Oggi nel giorno che dovrebbe essere della esaltazione – paradossalmente Elliott è più prudente nei suoi comunicati ufficiali sul tema. Il motivo è chiaro. Decidere la vendita o quantomeno la quotazione della società della rete è un’operazione di tipo strategico, dalle enormi implicazioni. Per procedere in questa direzione, non basta avere 10 dei 15 consiglieri di amministrazione. La deliberazione dei consiglieri necessiterebbe del via libera dell’assemblea dei soci, e con una maggioranza blindata di almeno i due terzi. Elliott non ha la forza di orientare in questo senso la maggioranza qualificata della assemblea e, nel caso ci provasse, verrebbe probabilmente bloccata da Vivendi e dai suoi alleati. Poi ci sono gli uomini. Elliott conferma la fiducia all’attuale ad Amos Genish. Ma Genish, che è uomo di Vivendi, non vuole la separazione proprietaria tra Tim e la sua rete, cosa che Elliott sa bene. Ancora Elliott invia nel nuovo cda di Tim un manager di lungo corso come Rocco Sabelli che venti anni fa diventava direttore generale di Telecom Italia Mobile. Sabelli è persona che conosce la materia e certo lavorerà contro la separazione proprietaria della rete perché la considera una soluzione infruttuosa e sbagliata. Contro un’unione strutturale tra Tim e Open Fiber congiura anche la variabile politica. L’intreccio totale tra le due reti è stato incoraggiato dal ministro uscente dello Sviluppo, Calenda, e da Franco Bassanini, tra i consiglieri più ascoltati del premier dimissionario Gentiloni. È tutto da dimostrare che un nuovo esecutivo – tra grillini e leghisti, o di unità nazionale – abbia la forza e la volontà di saldare Tim e Open Fiber. Ci sono all’orizzonte, questo è vero, scenari di cambiamento totale. Ora che Elliott comanda nel cda di Tim, l’ad Genish potrebbe tenere fede al suo proposito di un mese fa e preparare l’addio. Al suo posto può arrivare Luigi Gubitosi, neo consigliere di Tim. Gli stessi francesi di Vivendi che oggi conservano la maggioranza relativa nella società – potrebbero limare la loro partecipazione o addirittura ridurla. E se Tim venisse investita da simili scosse nel management e nell’azionariato, anche la sua marcia di avvicinamento a Open Fiber diventerebbe forse più spedita e decisa.