Il Sole 24 Ore, 4 maggio 2018
il tessile-moda ha fatturato 53 miliardi
Un fatturato 2017 rivisto al rialzo rispetto alle stime dello scorso giugno e una previsione per il primo semestre 2018 di una crescita ancora maggiore. È un quadro positivo quello trovato da Marino Vago, che ha raccolto il testimone da Claudio Marenzi alla presidenza di Sistema moda Italia (Smi): la filiera del tessile moda, composta da oltre 46mila aziende, che danno lavoro a circa 400mila persone, ha chiuso il 2017 con un fatturato di 54,12 miliardi, il 2,4% in più rispetto al 2016, con un export di 30,6 miliardi (+3,5%), pari a una quota sul fatturato del 56 per cento.
Dire che Vago ha “trovato” uno scenario positivo forse non è però corretto: il nuovo presidente di Smi è uno dei tantissimi imprenditori alla guida delle Pmi del tessile che ha contribuito attivamente alla resilienza della filiera, pur in uno scenario interno e internazionale difficile. Insieme al fratello Augusto ha guidato la trasformazione e modernizzazione dell’azienda di famiglia, la Tintoria Filati Bustese nell’attuale assetto della Vago spa, azienda tessile specializzata in nobilitazione di filati di cotone, lino, viscosa, lana e cashmere. Prima di illustrare il consuntivo 2017 e le previsioni per quest’anno – elaborate grazie al modello econometrico messo a punto dall’università Liuc di Castellanza – Marino Vago ha voluto ringraziare Claudio Marenzi, che dal 1° gennaio guida la neonata Confindustria Moda, la cui presentazione ufficiale sarà il 15 maggio. «Grazie all’impegno del mio predecessore, della sua squadra e del coinvolgimento di tanti imprenditori e attori della “filiera allargata”, come la Camera della moda e il suo presidente Carlo Capasa, Smi si è conquistato una visibilità che non aveva – ha detto Vago –. Abbiamo promosso o partecipato a tavoli istituzionali dove si prendono decisioni chiave per il futuro del nostro settore e anche dell’economia del Paese, visto che l’Italia è l’unica nazione a possedere una filiera intatta e di altissimo livello, che il mondo ci invidia. Non è un caso che nei nostri distretti si produca la maggior parte dell’abbigliamento e degli accessori di lusso poi venduti a livello globale». La diversità e lunghezza della filiera è allo stesso tempo una ricchezza inestimabile e un patrimonio non facile da gestire.
«Il monte, la parte di lavorazione di materie prime tessili e tessuti, ha per sua natura e storicamente margini più bassi del valle, le aziende che si affacciano direttamente sul mercato con il prodotto finito e un marchio – ha ricordato Vago –. Il dato complessivo nasconde questa diversità: nel 2017 il fatturato del monte è salito “solo” dell’1,7%, quello del valle del 4,5%. Ma, come dico sempre ai miei colleghi, in qualunque punto della filiera ci si trovi, che si nobiliti un filato o si produca un capo per il proprio marchio o magari per un brand del lusso, bisogna considerarsi una sorta di ecosistema dal difficile equilibrio. Chi, a valle, cerca di avere condizioni sempre più favorevoli dal monte, che ha meno potere negoziale, rischia di tagliare i rami, ancora molto solidi, sui quali è seduto». Rispetto e riconoscimento dell’importanza di chi è a valle e porta i prodotti italiani e fa da ambasciatore dell’Italia nel mondo non sono in discussione: Vago ribadisce però che solo lavorando come «una holding», tutti insieme, è possibile raggiungere anche nuovi traguardi, come la credibilità e trasparenza sul tema più importante del momento, la sostenibilità ambientale e sociale.
«Bruxelles continua a voltarsi dall’altra parte, lasciando entrare nell’Unione prodotti finiti che qui non sarebbe possibile neppure concepire – sottolinea Vago –. La nostra filiera invece è impegnata nel rispetto dell’ambiente da anni, decenni. E spesso le aziende si impongono da sole standard superiori a quelli richiesti per legge. Ma, come ricorda sempre Claudio Marenzi, la sostenibilità ha un costo e per questo i filati, i tessuti e i capi finiti made in Italy hanno prezzi elevati. Una delle mie priorità sarà comunicare meglio il valore di quello che facciamo e di come lo facciamo, usando l’opportunità offerta dal digitale».
Sostenibilità sociale per Vago significa inoltre offrire opportunità ai giovani: «Abbiamo sbagliato, come imprenditori e come Paese, a non puntare sull’istruzione professionale. Occorre superare il pregiudizio che vuole il lavoro in fabbrica obsoleto e meno nobile rispetto ad altre professioni. Le aziende devono fare più formazione interna, ma lo Stato deve ricominciare a investire sugli istituti tecnici, come ha fatto, con successo, la Germania».