La Stampa, 4 maggio 2018
Squadre femminili al Subbuteo
Arriva un Subbuteo al femminile, chi l’avrebbe mai detto? Quel panno verde che i fratelli stendevano sul tappeto in camera era il segno che adesso il gioco si faceva duro. Roba da maschi, voi femmine andate di là a pettinare le bambole, please.
Stereotipi che crescendo prendevano la forma di uomini stravaccati sul divano, piedi sul tavolo, patatine birra pizza e rutto libero nelle serate di Coppa e le donne in cucina a parlare d’amore e di vestiti.
Stereotipi appunto.
Adesso invece la Federcalcio inglese e la Hasbro, storico produttore del più famoso calcio da tavolo del mondo, annunciano l’arrivo di due squadre femminili di Subbuteo, 22 calciatrici e sei riserve, con i colori del Chelsea e dell’Arsenal, che disputeranno domani la finale della Coppa femminile di calcio inglese allo stadio di Wembley.
A questo punto non resterebbe altro che commentare: ecco il segnale inequivocabile che il movimento #MeToo detta ormai l’agenda dei diritti e la richiesta di pari opportunità sta arrivando a erodere gli ultimi fortini della retorica maschia, anche nel luogo più maschio di tutti, il calcio. La Football Association (Federcalcio) inglese la presenta infatti come una mossa per rimuovere le barriere nel calcio femminile, che in Gran Bretagna è sempre più popolare, con numeri di praticanti e fan in crescita, e il tutto esaurito per la partita di domani pomeriggio, grazie anche alla possibilità di portare bambini e i prezzi molto popolari.
Il verità il Subbuteo al femminile si farà ma non sarà messo subito in produzione e quindi per il momento chi vuole aggiudicarsene una confezione dovrà partecipare a una sorta di concorso sui canali social ufficiali della Fa. Sono già partite le polemiche contro Hasbro e Football Association, accusate di una mossa pubblicitaria ben studiata per creare attenzione mediatica e niente più. La Fa nega e dice che non si tratta di un trucchetto ma di un progetto pilota.
Ma ve bene lo stesso. È comunque una evoluzione interessante. Significa che una generazione vintage di madri e padri (a loro è destinato i messaggio essendo altamente improbabile che i figli conoscano cosa è il Subbuteo) sono sensibili al tema. Sono gli stessi genitori vintage che hanno comprato in massa «Le storie della buonanotte per bambine ribelli», facendone un bestseller mondiale della emancipazione femminile in età scolare.
Ma esistono davvero giochi da femmine e giochi da maschi? La domanda è vecchia almeno quanto le battaglie del movimento di liberazione della donna dagli stereotipi di genere. Nel 1973 Elena Gianini Belotti in un libro che ogni genitore farebbe bene a procurarsi (Dalla parte delle bambine, Feltrinelli) aveva raccontato come le differenze tradizionali tra maschi e femmine non siano dovute a fattori innati o genetici, ma a condizionamenti culturali che l’individuo subisce nei primi anni di vita. Quando il bambino arriva alla scuola dell’obbligo è già tutto stabilito. Il maschio gioca con le macchinine, i trenini e si prepara a un futuro di lavoro fuori di casa. Mentre le femmine sono state già condizionate a essere belle, truccarsi, piacere ai maschi, accudirli e prendersi carico dei lavori casalinghi.
Un po’ meno di tacchi e un po’ di tacchetti, in questo panorama, non fanno male. Non perché le donne debbano scimmiottare i maschi sui campi di calcio o di Subbuteo, ma perché sia chiaro che non ci sono più riserve di caccia esclusive e che la parità dei diritti passa anche per l’abbattimento di questi piccoli e apparentemente insignificanti steccati.