la Repubblica, 4 maggio 2018
Salah dona l’acqua al suo villaggio
Niente Ferrari, bolidi di super lusso, yacht o ville miliardarie per Mohamed Salah, l’attaccante del Liverpool. L’ex giocatore della Roma, 25 anni, idolo dei giovani egiziani che lo chiamano il “Messi d’Egitto”, spenderà una cospicua parte dei suoi guadagni per aiutare i suoi ex concittadini: 450mila dollari, è questa la cifra record che il bomber del club britannico ha deciso di donare al villaggio egiziano di Nagrig, dove è nato. Soldi che serviranno per costruire un impianto di potabilizzazione dell’acqua e un sistema di irrigazione per i campi coltivati. Un atto di generosità da parte del calciatore che ha commosso gli abitanti del villaggio. «Salah non sarà mai uno straniero nella sua terra», ha dichiarato il sindaco, a nome di tutti i cittadini. Il gesto del numero 11 del Liverpool del resto non è il primo. Per il suo villaggio natale l’ex attaccante della Roma aveva già contribuito in maniera sostanziale al bilancio pubblico. Questa volta, però, il dono è di quelli che cambiano il destino di una città: la possibilità di avere acqua da bere e per irrigare i campi è una notizia enorme per gli abitanti di uno dei distretti più poveri dell’Egitto, a metà strada tra Alessandria e Il Cairo, in pieno deserto. Un’azione che contribuirà a rendere la sua figura ancora più popolare nel Paese delle Piramidi, dove già nei bar e sui muri delle strade campeggiano i suoi ritratti e le sue fotografie. Perché Salah, musulmano osservante, oltre a essere un grande calciatore per gli egiziani è diventato anche un simbolo: di riscatto, di orgoglio nazionale, di voglia di emergere, del gusto di farcela. Per la sua straordinaria capacità di infilare goal nelle reti avversarie, che lo ha portato in poco tempo dai campi di calcio egiziani a essere conteso dai maggiori club europei, ma anche per la sua passione politica. Nel 2015 Momo Salah, quando gioca per la Fiorentina, sceglie di scendere in campo con la maglietta numero 74. Non è una cifra a caso: sono i morti della strage di Port Said, del primo febbraio 2012. Siamo in piena primavera araba, Hosni Mubarak è stato rovesciato da pochi mesi. Sul campo si gioca la partita tra l’Al Ahly e la squadra locale Al Masry. Al termine del match un gruppo di giovani vicini alla tifoseria dell’Ahly vengono massacrati, con la complicità attiva della polizia ancora legata a Mubarak: il motivo, dicono in molti, è il loro legame con le rivolte della primavera araba e gli scontri di piazza Tahrir. Sul terreno restano 74 morti appunto, come il numero di maglia voluto da Salah. La presa di posizione del giocatore è significativa: la sua storia, unita alle sue gesta atletiche, lo rendono un simbolo di riscatto. Per alcuni diventa addirittura lo sfidante morale del presidente Abdel Fattah al-Sisi. Alle elezioni del marzo scorso sembra che su diverse schede sia stata trovata la scritta, fatta a mano, con il suo nome. Voti nulli ovviamente, ma il segnale è chiaro: il calciatore è considerato l’eroe nazionale.