Corriere della Sera, 4 maggio 2018
Le prede sessuali dei giapponesi
Furono forse oltre 200 mila. Molte provenivano dalla Corea, altre dall’Indonesia, dalla Birmania e da tutti i territori soggetti al controllo dell’Impero giapponese nella sua fase di espansione in Asia, prima e durante la Seconda guerra mondiale. Venivano rapite o convinte con l’inganno. Erano perlopiù giovanissime, se non addirittura delle bambine. Della maggior parte di loro si è persa ogni traccia ma alcune, le sopravvissute, molti anni dopo la fine delle sevizie, sono riuscite a trovare il coraggio di parlare e di chiedere giustizia.
Oggi vengono chiamate comfort women, perché il loro compito era dare «conforto» sessuale ai soldati dell’esercito di Hirohito ma – fuori dai Paesi d’origine – la loro tragedia è ancora ingiustamente sconosciuta ai più, è un capitolo mancante nei libri di storia. In Figlie del mare (Longanesi), la scrittrice americana di origini coreane Mary Lynn Bracht, al suo romanzo d’esordio, vuole riportare l’attenzione dell’Occidente su di loro, unendosi a una protesta cominciata nel 1991, quando una delle vittime, Kim Hak-sun, denunciò gli orrori che fu costretta a subire.
Dalle testimonianze delle sopravvissute – che ancora lottano per il riconoscimento – raccolte da Bracht, nasce la sedicenne Hana, una haenyeo, «donna del mare», e cioè una donna che ha ereditato dalla madre la conoscenza di una particolare tecnica di pesca in apnea. Nella cultura e nella società coreane, le haenyeo godevano di una posizione privilegiata: poiché potevano provvedere al proprio mantenimento e a quello della famiglia, erano indipendenti ed emancipate dall’uomo. Non dovevano rendere conto a padri, mariti o fratelli ed erano estremamente fiere della loro condizione.
Hana nel 1943 si trova in mare, ma guardando la spiaggia vede che un soldato si sta avvicinando a Emiko, la sua sorellina di appena dieci anni. L’istinto non lascia spazio ad alcuna esitazione: si offre al posto di Emiko, salvando lei e condannando sé stessa a un orrore che scoprirà prestissimo.
Le pagine del romanzo scorrono rapide, mentre il lettore assiste impotente alla degradazione dell’intelligente, forte, talentuosa Hana, spogliata della sua innocenza e tenuta prigioniera in una comfort station, ridotta in schiavitù sessuale, costretta a subire abusi di ogni genere decine di volte al giorno. Bracht non risparmia al lettore nessuna delle brutture che Hana nella finzione e le innumerevoli comfort women nella realtà dovettero subire pur procedendo nella narrazione sempre con discrezione e sensibilità.
Accanto ad Hana, nel romanzo anche Emiko racconta la sua vita: è il 2011, sta morendo, e ha bisogno di ritrovare la sorella perduta. Entrambe, in modi diversi, sono vittime delle guerre. Entrambe diventano simboli di tutti i soprusi di cui sono vittime le donne durante i conflitti. Seppur romanzata, Figlie del mare è una testimonianza. Si è posta l’obiettivo di far conoscere, di condividere.