la Repubblica, 3 maggio 2018
Governo di tregua e voto nel 2019
I partiti non vogliono lasciarsi alle spalle il gioco fallimentare dei veti incrociati. Allora, sarà il presidente della Repubblica a cambiare la partita e, in qualche modo, anche i giocatori. Sergio Mattarella è pronto a mettere in campo un altro schema già da lunedì prossimo, se non da domani stesso.
Si chiama governo di tregua, aperto a tutti, sarà guidato da una figura istituzionale ( probabilmente il presidente del Senato o quello della Camera), con un paio di obiettivi minimi da centrare: approvare la legge di bilancio, evitando l’esercizio provvisorio, e affrontare le importanti scadenze europee che ci aspettano. Di fatto, quindi, arriverebbe almeno al traguardo di dicembre. Poi, comincerebbe il conto alla rovescia per portare il Paese alle urne fra un anno, nella primavera del 2019. A meno che i partiti, in un estremo soprassalto di responsabilità, non decidano di ascoltare il presidente della Repubblica anche su un altro punto del “pacchetto” che sta molto a cuore al capo dello Stato: cambiare il Rosatellum. In quel caso, il governo di tregua avrebbe vita più lunga e le elezioni si allontanerebbero.
Ma è un percorso accidentato, difficile, il sì di 5Stelle e Lega a questo governo sotto la regia del presidente, anche nella sua versione minimal, tutt’altro che scontato. E dunque il rischio di elezioni anticipate già in autunno resta alto. Mattarella lo sa bene. Ecco perché si prepara ad un terzo giro di consultazioni al Quirinale, da gestire quindi in prima persona, probabilmente da lunedì prossimo, dopo la riunione della direzione del Pd che oggi certificherà il nulla di fatto anche sulla residuale ipotesi di una maggioranza fra i democratici e il M5S.
Sulla scrivania del presidente nello Studio alla Vetrata stavolta dunque ci sarà un’alternativa, secca, il governo di tregua o le elezioni. Il presidente vuol verificare chi sta di qua, ovvero con gli interessi del Paese, oppure dalla parte del ritorno puro e semplice al voto in nome di un regolamento di conti fra i partiti.
E sull’onda di un’emergenza istituzionale che si profila, il presidente starebbe pensando anche ad un appello, un pressante richiamo ai partiti, nessuno escluso, che stanno trascinando il Paese in un tunnel che pure agli occhi del Colle appare ormai quasi senza via d’uscita.
Spiegare pubblicamente che i giochi sono finiti. Sul Colle stanno valutando quando far scattare questo “rien ne va plus”. Forse, potrebbe essere contenuto nello stesso annuncio del capo dello Stato del nuovo giro di colloqui. Per spiegare al Paese le ragioni dell’ennesima chiamata al Quirinale dei partiti, saremmo al quinto round fra incontri diretti del capo dello Stato ed esplorazioni dei presidenti delle Camere, e metterli “in mora” rispetto alle loro responsabilità. Incapaci di trovare una maggioranza e un premier condiviso.
Un nome “terzo”, né Salvini né Di Maio, verrà al quel punto avanzato da Mattarella. Fuori, quasi certamente, dalla ridda di ipotesi che girano ( da Cassese a Pajno), puntando su uno dei presidenti delle Camere.
Se l’operazione non dovesse andare in porto, se dovesse arrivare un no anche al governo di tregua? Davanti a Mattarella, due strade. Mandare alle Camere comunque il “suo” esecutivo che, sfiduciato, resterebbe comunque in carica a gestire le elezioni, in autunno. Oppure tentare un’estrema “rianimazione” del governo Gentiloni, ma sempre per portare il Paese alle urne fra settembre e ottobre.