Corriere della Sera, 3 maggio 2018
Gli italiani, intreccio di genomi, non esistono
Gli Italiani? Non esistono. «Si tratta solo di un’aggregazione di tipo geografico. Abbiamo identità genetiche differenti, legate a storie e provenienze diverse e non solo a quelle» spiega Davide Pettener, antropologo del Dipartimento di Scienze Biologiche, Geologiche e Ambientali dell’Università di Bologna, che ha creato una banca di campioni di Dna per tracciare la storia genetica degli Italiani. insieme a Donata Luiselli del Dipartimento di Beni Culturali di Ravenna e collaboratori. Lo studio rientra in un progetto mondiale finanziato dalla National Geographic Society.
Maschi e femmine «Coinvolgendo i centri di donazione Avis abbiamo raccolto 3 mila campioni di sangue di italiani provenienti da tutte le regioni» racconta Pettener. «Di questi ne abbiamo per ora utilizzati circa 900. Ogni persona coinvolta doveva avere i 4 nonni provenienti dalla stessa provincia. I primi dati, pubblicati sulla rivista PlosOne, hanno riguardato i cosiddetti marcatori uniparentali: il cromosoma Y, trasmesso per via paterna e il Dna mitocondriale, per via materna».
Risultato? «Si pensa in genere che la variabilità genetica in Italia segua un cambiamento graduale secondo un asse Nord-Sud – spiega l’esperto – Invece, dal punto di vista del cromosoma Y (linea paterna), emerge, a parte la Sardegna, un’Italia divisa secondo una linea più longitudinale, che separa una zona nord-occidentale da una sud-orientale. Ciò non si osserva però con il Dna mitocondriale (linea materna), che ha una distribuzione più omogenea, spiegabile con la maggiore mobilità femminile legata a pratiche matrimoniali che prevedevano lo spostamento della donna. Il quadro complessivo è frutto di migrazioni lungo due traiettorie diverse iniziate nel neolitico, con l’avvento delle nuove tecnologie agricole e dell’allevamento. Nei periodi successivi è successo di tutto: germani, greci, longobardi, normanni, svevi, arabi sono passati lasciando i loro geni».
La storia genetica degli Italiani, però, non è stata influenzata solo dalle migrazioni. Anche l’adattamento alle diverse pressioni selettive è stato determinante, influenzando la suscettibilità a malattie diverse. A sancirlo è un altro studio, pubblicato su Scientific Reports, coordinato dal gruppo di Antropologia Molecolare e Adattamento Umano del Dipartimento di Scienze Biologiche Geologiche e Ambientali (BiGeA) dell’Università di Bologna.
Dieta e malattie «L’evoluzione delle popolazioni dell’Italia settentrionale è stata condizionata da un clima freddo, che ha reso necessaria una dieta molto calorica e grassa» spiega Marco Sazzini, ricercatore del BiGeA. «La selezione naturale ha favorito in queste popolazioni la diffusione di varianti genetiche in grado di modulare il metabolismo di trigliceridi e colesterolo e la sensibilità all’insulina, riducendo il rischio di sviluppare malattie cardiovascolari e diabete. Clima diverso e innesti di altre popolazioni mediterranee hanno fatto sì che gli abitanti dell’Italia centro-meridionale mantenessero invece più diffusamente varianti responsabili di una maggiore vulnerabilità a tali malattie».
Oltre al clima e alla dieta un altro fattore che ha indirizzato gli adattamenti genetici degli italiani, soprattutto in Sardegna e nell’Italia centro-meridionale, sono le malattie infettive. In Sardegna, ad esempio, la malaria ha rappresentato una delle principali pressioni ambientali, mentre nel Sud la selezione naturale ha potenziato le risposte infiammatorie contro i batteri di tubercolosi e lebbra. Queste risposte potrebbero però essere una delle cause evolutive alla base di una maggiore vulnerabilità a patologie infiammatorie croniche dell’intestino, come per esempio il morbo di Crohn.
Il caso della Sardegna A proposito di Sardegna, un aspetto interessante di questi studi è quello relativo all’analisi delle popolazioni isolate. «I sardi» sottolinea Pettener, «si differenziano da tutti gli italiani e gli europei. Mentre la Sicilia è stata un hub per tutte le genti mediterranee, la Sardegna conserva le sue più antiche tracce non avendo subito invasioni e si è così differenziata dagli altri abitanti del continenti, al pari dei baschi e dei lapponi.
«Lo studio delle popolazioni isolate, come e più dei sardi, per esempio come gli arbëreshë (di lingua albanese stanziati in alcune zone del Sud), i ladini, sparsi nelle valli delle Dolomiti, i cimbri dell’Altopiano di Asiago o i grichi e i grecanici del Salento e della Calabria, è interessante perché ci permette di vedere come eravamo, presumendo che ci siano stati pochi innesti nel tempo di Dna differenti da quello originario. Una vera macchina del tempo».