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 2018  maggio 02 Mercoledì calendario

La conta nella direzione del Pd

Ore 12.30
ROMA
- Niente “conte interne” alla direzione di domani: lo “stallo” politico è “frutto dell’irresponsabilità” di M5s e centrodestra; sì al confronto ma niente fiducia “a un governo guidato da Salvini o Di Maio”. Sono questi i tre punti di un breve documento predisposto dai renziani sui quali da ieri è partita una raccolta di firme tra i parlamentari e i membri della Direzione del Pd. Al momento sarebbero state raccolte le firme di 77 deputati su 105 e 39 senatori su 52. Tra i firmatari anche i capigruppo Graziano Delrio e Andrea Marcucci.

Finora il manifesto dei “cento parlamentari” per il no ai cinquestelle era solo un avvertimento, un fuoco di sbarramento preliminare a cui lo stesso Matteo Renzi aveva alluso per evitare la conta domani in direzione. Matteo Orfini da un lato, e il “giglio magico” renziano dall’altro – ovvero Luca Lotti, Francesco Bonifazi, Maria Elena Boschi, Dario Parrini, Andrea Marcucci  – ne sarebbero i promotori. Ma solo come extrema ratio. E invece il documento ha preso corpo, cominciando a circolare negli ambienti parlamentari, probabilmente perché nel frattempo gli equilibri interni sono apparsi più instabili del previsto. Come testimonia anche il deputato dem Roberto Giachetti, che questa mattina ad Agorà ha detto: “Il Partito democratico non è monolitico, può essere che Renzi non abbia la maggioranza in direzione”.

All’organo dirigente del Pd -  convocato domani a 50 giorni dall’ultima riunione, che sancì le dimissioni di Renzi da segretario e l’affermazione della linea dell’opposizione – spetta l’ultima parola sull’apertura o meno del dialogo con il Movimento 5 stelle, dopo la netta chiusura di Renzi. Un Pd che arriva all’appuntamento quanto mai diviso, nonostante il lavorio dei pontieri delle varie anime per ricucire gli strappi. Sulla carta i renziani godono di una maggioranza schiacciante che metterebbe al sicuro il loro ’niet’ ad ogni ipotesi di trattativa. Ma la stessa area che fa riferimento all’ex segretario è percorsa da sentimenti diversi su questo tema, talvolta opposti. Per questa ragione il risultato non può considerarsi scontato.

GLI EQUILIBRI IN DIREZIONE
La direzione replica i rapporti di forza usciti dall’ultima assemblea, tenutasi nel febbraio 2017. In quell’occasione, Renzi diede una forte impronta personale all’esecutivo Pd, ma lo fece presentandosi in tandem con Maurizio Martina e l’area che all’allora ministro dell’Agricoltura faceva capo, “Sinistra è Cambiamento”. Martina, tuttavia, nel frattempo, è divenuto reggente del partito lasciando la maggioranza renziana e opponendosi alla linea aventiniana dell’ex segretario. Oggi, su 214 componenti, sono 103 i renziani duri e puri. Di questi, 18 sono i millennials – ragazzi nati a cavallo del secolo e quindi giovanissimi – nominati direttamente dal segretario e che a lui fanno capo. La maggioranza renziana può contare inoltre su 4 componenti vicini al presidente dell’assemblea, Matteo Orfini. 

Gli esponenti della direzione che fanno capo a Maurizio Martina sono 19, gli orlandiani 23, altrettanti i franceschiniani, mentre i membri della direzione vicini a Michele Emiliano sono 13. Il ’partito dei governisti’, favorevoli a un dialogo con M5s, conta quindi 78 componenti della direzione. A questi, tuttavia, vanno aggiunti quelli del cosiddetto ’partito dei ministri’, formato da esponenti del governo Gentiloni determinati a dare “un contributo al Presidente della Repubblica”, come si legge nella relazione votata il 12 marzo all’ultima riunione del parlamentino dem. I ministri presenti in direzione e favorevoli a percorrere la strada indicata da Mattarella e sedersi al tavolo con il Movimento 5 stelle sono almeno 5, ai quali si potrebbe aggiungere Delrio, computato fra i renziani. Va, infatti, sottolineato che l’appartenenza a questa o a quell’area non determina necessariamente il voto su un tema che coinvolge le sensibilità individuali, prima ancora che l’obbedienza al capo corrente.