www.corriere.it, 2 maggio 2018
Il ping-pong narrativo di Stephen King
Tempo fa Stephen King cominciò una storia. La ambientò a Castle Rock, la cittadina di 1.777 abitanti nel Maine teatro di tanti suoi lavori. Ci mise dentro una ragazzina delle sue, Gwendy, dodicenne e grassottella, impegnata un’estate a fare su e giù la Scala del Suicidio, a Castle Rock, per smaltire i chili in eccesso. La Scala viene usata spesso dagli abitanti della cittadina per liberarsi, come dice il nome, di un altro peso, quello della vita. Poi King fece incontrare Gwendy con un tipo lugubre, vestito di nero, un cappello in testa, che si fa chiamare Richard Farris ed è pure lui, sotto altre spoglie e altri nomi, un habitué dei suoi racconti. Costui convince Gwendy con parole suadenti (non accettare caramelle dagli sconosciuti!) a prendere in regalo una normale (in apparenza) scatola di legno con alcuni bottoni colorati all’interno.
Richard ChizmarCosa succederà a premere uno dei bottoni? A questo punto King ha spedito l’incipit della storia a Richard Chizmar, un suo vecchio amico e collaboratore, direttore di una pregevole rivista horror («Cemetery Dance») e autore di racconti in proprio (li pubblica su una rivista, stavolta gloriosissima, che si intitola «Ellery Queen Mistery Magazine»). «Continua tu, Richard», ha scritto nella mail King, e si è messo ad aspettare. La scatola dei bottoni di Gwendy è il risultato del ping pong narrativo tra King e Chizmar. È un gioco, piacevole e scorrevole, ma è un gioco che cela all’interno un meccanismo infernale. Quei bottoni hanno lo stesso potere dei famigerati bottoni a disposizione (siamo nel 1974) di Nixon e Breznev. Se non premi quello giusto, il mondo salta in aria... Buona continuazione e viva sempre Stephen King.
P.S. Se volete, è possibile anche un’altra lettura della storia. La scatola dei bottoni affidata a Gwendy somiglia alle vecchie macchine per scrivere (e ai computer), dove se premi un bottone, crei un mondo. L’ultimo King celebra spesso il suo mestiere. Ne ha facoltà.