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 2018  maggio 01 Martedì calendario

Mestieri che scompaiono, mestieri che vanno per la maggiore

La crisi ha lasciato il segno sui mestieri artigiani. Negli ultimi 5 anni, dal 2012 al dicembre scorso, sono sparite oltre 110mila attività legate ai mestieri, con un crollo dei lavori manuali nell’edilizia, a conferma che il mercato del mattone langue. Per contro alcune attività hanno fatto registrare un vero e proprio boom, totalmente svincolato dall’andamento dell’economia. È il caso, ad esempio, dei tatuatori che nel quinquennio preso in esame da Unioncamere e Infocamere, che hanno elaborato i dati Movimprese, sono più che raddoppiati. Erano 3.525 cinque anni fa e sono diventati 7.702 alla fine del 2017. Ben 4.177 in più. La crescita maggiore, superata in termini assoluti soltanto da quella degli addetti alle pulizie degli edifici, aumentati nel medesimo lasso di tempo di 6.136 persone. Ma si tratta di attività non specializzate che non richiedono alcuna abilità particolare. Va bene anche per i giardinieri, quasi 3.400 in più rispetto a cinque anni or sono, mentre si sono creati nuovi spazi per altri mestieri tradizionali come panettieri e pasticceri, 1.355 in più, sarti (circa 2.440 nuovi professionisti di ago e filo) e meccanici industriali, cresciuti di 1.854 unità. Forte aumento anche per le attività legate al disbrigo di pratiche burocratiche (+1.983 addetti) e agli accessoristi nel comparto della moda (+1.461). Meno evidente la crescita di parrucchieri ed estetisti (+617), ma parliamo di categorie artigiane forti, nell’insieme, di quasi 130mila persone, molto diffuse e radicate sul territorio, con una saturazione in talune aree della Penisola. La lista delle attività con il segno più nel confronto fra il 2012 e il 2017 finisce qui. La crisi delle costruzioni ha letteralmente decimato alcuni mestieri tradizionali. Dagli idraulici ai serramentisti, fino ai carpentieri, i vetrai, gli imbianchini e i piastrellisti, perfino i fabbri: tutti i lavori con un forte collegamento al mattone sono stati travolti dallo stop ai cantieri. E non si vedono all’orizzonte segnali che lascino presagire un’inversione di tendenza. Ma vi sono anche categorie la cui crisi parte da lontano. Come nel caso dei «padroncini», gli autotrasportatori in proprio. Anziché intercettare il boom delle consegne a domicilio innescato dall’esplosione del commercio elettronico, continuano a calare. Sono la categoria che ha perso più «effettivi»: 13.725 in cinque anni. Elettricisti e piastrellisti – calati rispettivamente di 6.061 e 6.236 unità – li seguono molto da lontano in questa poco ambita classifica. riproduzione riservata RAFFAELE BONANNI nnnChe senso ha il Primo Maggio nell’epoca della polverizzazione dei posti di lavori, della crescita esponenziale del lavoro autonomo e para autonomo, della presenza massiccia di immigrati nei varie attività, della diffusione dei lavori autonomi e para autonomi, dello smart working? I lavoratori e i lavori, sono molto cambiati in questi ultimi tre decenni, e le istituzioni e le associazioni che li rappresentano tendono ad avere un comportamento conservativo rispetto alla custodia della cultura e strumenti di salvaguardia dei diritti, che si sono sviluppati nel periodo più fecondo del fordismo. Occorrerebbe anche chiedersi che senso dovrebbe avere la festa dei lavoratori, nell’epoca più prodiga di garanzie sociali per i lavoratori a tempo indeterminato e garanzie striminzite o nulle per precari e lavoratori in nero. Ci sono nello stesso tempo, lavoratori che usano fraudolentemente i sacrosanti diritti sindacali come la “104” e lavoratori precari o in nero che non hanno alcuna protezione sociale. Lavoratori che hanno un contratto di lavoro ed altri che lavorano con retribuzioni svantaggiose della serie o queste o niente. Oggi il Primo Maggio avrebbe più forza, se al lavoro venisse dato nuovamente il significato di occasione di sostentamento per se stessi e per la propria famiglia e per esaltare la propria personalità con l’ingegno e la dedizione. L’unico modo per dare senso alla propria vita. Quindi non redditi garantiti senza lavoro, o lavoro come sfruttamento; ma esperienza di realizzazione per ciò che di positivo si sprigiona nell’impegno individuale e collettivo e nel luogo per misurare il proprio ingegno. C’è allora l’esigenza di dare al Primo Maggio il segno nel saper rappresentare giovani e anziani, operai e specialisti, italiani e immigrati, tutelati e non, occupati e disoccupati. Nello stesso tempo di riscoprire la vocazione più profonda dell’uomo e del suo scopo nella vita. La crisi preoccupante delle associazioni di rappresentanza dei lavoratori e delle imprese, è causata proprio dall’incapacità di farsi carico degli interessi di tutti e dalla scarsa propensione al coraggio nelle parole e negli atti. Sono vittime del “passatismo” e della propensione ad avvalersi dell’aiuto della politica anziché della forza della rappresentanza. Rimettere in ordine l’associazionismo del lavoro, servirebbe a ridare forza a lavoratori e imprese, in un Paese che vive solo della capacità di trasformare prodotti e allestire servizi. Anche in questi giorni, alcuni operatori dei media, auspicano il rinnovamento del sindacato, che senza dubbio è una delle cose necessarie. Ma occorre capire che significa. Senz’altro lo sarebbe se i sindacalisti mettessero al centro della loro riflessione ed azione, l’impresa. Senza impresa non c’è lavoro, nel senso che prima di tutto viene la produzione per dividersi la ricchezza. Senz’altro lo è lo stato della economia come riferimento per qualsiasi rivendicazione. Spero che non sia avere giovani al posto di meno giovani, donne al posto di uomini, persone di un colore politico anziché un’altro. Ci vorrà molto coraggio, anticonformismo, dedizione e autonomia, per ottenere un rinnovamento delle associazioni, da cui potrà trarre vantaggio il mondo del lavoro e la società tutta così in cerca di riferimenti alti e reali.