Il Sole 24 Ore, 1 maggio 2018
La guerra dei dazi può mettere in crisi l’export italiano
Con 40,5 miliardi di esportazioni, il made in Italy l’anno scorso ha raggiunto il suo record storico verso gli Stati Uniti, grazie a un aumento del 9,8% rispetto al 2016. Ecco perché la prospettiva di una guerra commerciale fra Ue e Usa preoccupa, e non poco, le imprese italiane.
Oggi scade l’esenzione dai dazi su acciaio e alluminio concessa da Trump all’Unione europea. Se le schermaglie si fermassero qui, certo i rischi per l’export italiano sarebbero limitati, quanto meno nel breve periodo: ricordano gli esperti della Sace che nel 2017 l’Italia ha esportato solo 1,6 miliardi di euro di questi due materiali verso gli Stati Uniti, che rappresentano il 4,9% dell’export italiano di questi beni e solo il 4% di tutte le esportazioni italiane verso gli Usa. «Peraltro, nei primi due mesi del 2018 l’export italiano di acciaio e alluminio verso gli Stati Uniti ha registrato una crescita del 18,4%, a fronte di una leggera contrazione dell’export totale verso il Paese», aggiunge Roberta Marracino, direttore dell’area studi e comunicazione di Sace.
La partita per l’Italia, però, si farebbe decisamente più seria se al rifiuto dell’esenzione permanente per i dazi sull’acciaio e l’alluminio dovesse seguire uno scenario di guerra commerciale a tutto tondo. «L’avvio del circolo vizioso di chiusure reciproche – sostiene Marracino – può ridurre di un quinto la nostra crescita per quest’anno, che quindi risulterebbe dello 0,3% in meno, ma potrebbe addirittura dimezzare quella prevista per il prossimo anno e cancellarne due terzi nel 2020 e 2021». In termini di crescita dell’export italiano, la stima di Sace è di una riduzione di circa 2-3 punti percentuali per il biennio 2018-2019.
L’alimentare made in Italy, per esempio, rappresenta circa il 7% di tutto l’export italiano verso gli Usa. Nel 2017 abbiamo esportato cibo e bevande per un totale di circa 4 miliardi di euro, il massimo di sempre nel 2017: vino soprattutto, ma anche olio, formaggi e pasta. «La crescente tensione sui dazi – sostiene Luigi Scordamaglia, presidente di Federalimentare – e il conseguente rallentamento del commercio a livello globale ci preoccupano particolarmente, visto sia il valore assoluto che la costante tendenza alla crescita del mercato Usa per le esportazioni del settore. E siamo ancora più preoccupati che le conseguenze per il nostro Paese possano essere ulteriormente aggravate dal fatto che l’Italia non ha al momento un vero governo in grado di difendere i propri interessi. La negoziazione è affidata sostanzialmente alla Germania, che da sempre è interessata a tutelare solo il proprio export di autoveicoli, al Regno Unito, che è già fuori dalla Ue, e alla Francia».
Per Scordamaglia, la vera preoccupazione è che risucceda quanto accadde con le sanzioni russe, «quando il conto dell’Europa lo hanno pagato solo le imprese italiane. In tre anni abbiamo perso circa un miliardo di euro, e considerato che all’epoca il nostro export verso la Russia cresceva a un ritmo del 22%, questa è solo una stima per difetto».
Le tensioni nei rapporti fra Stati Uniti ed Europa, ricorda la Coldiretti, hanno già mostrato i loro effetti nei primi tre mesi del 2018, in cui si è registrato un sostanziale stallo (+0,3%) delle esportazioni italiane verso gli Usa rispetto allo scorso anno. «E gli Stati Uniti – sottolinea la confederazione degli agricoltori – sono di gran lunga il principale mercato di riferimento per il Made in Italy fuori dall’Unione europea».
La fetta più grossa delle esportazioni italiane verso gli Stati Uniti è però quella della meccanica strumentale, che rappresenta circa il 22% di quanto l’Italia vende oltreoceano. Eppure, questo è anche il comparto meno preoccupato da un’escalation tra Usa e Ue: «La guerra commerciale su scala globale non conviene nemmeno agli Usa – sostiene Sandro Salmoiraghi, presidente di Federmacchine – il vero pericolo per gli Stati Uniti è la Cina, che fa dumping sulle materie prime e sui semilavorati. Le schermaglie con l’Europa servono solo a mascherare il vero obiettivo di Trump».
Non ci attende dunque nessun gioco al rialzo? «Dei nostri beni strumentali gli Usa hanno bisogno – sostiene Salmoiraghi – e i prezzi di questi beni che pratica l’Europa sono ben allineati a quelli americani».