Il Sole 24 Ore, 1 maggio 2018
Qualche domanda sulla guerra dei dazi
Perché gli Stati Uniti hanno imposto dazi del 25% sull’import di acciaio e del 10% su quello di alluminio?
La Casa Bianca sostiene di voler tutelare la sicurezza nazionale: acciaio e alluminio vengono impiegati dall’industria degli armamenti e la dipendenza da Paesi stranieri – questo il ragionamento dell’Amministrazione – limiterebbe le capacità belliche in caso di conflitto. Per introdurre i dazi, il presidente Donald Trump ha fatto ricorso a una legge varata nel 1962 (in piena Guerra Fredda). Inoltre, l’industria siderurugica americana ha attravesato un profondo ridimensionamento, con forte perdita di produzione e occupazione. I dazi sono entrati in vigore il 23 marzo, ma la Casa Bianca ha concesso esenzioni valide fino al 1° maggio per Canada, Messico, Unione Europea, Corea del Sud, Brasile, Australia e Argentina. Tutti questi Paesi sono stati invitati a trattare con Washington per trasformare le esenzioni da temporanee a definitive.
Tuttavia, quando Trump parla di deficit commerciale e di pratiche scorrette da parte della Ue non si riferisce solo ad acciaio e alluminio, giusto?
Giusto. L’obiettivo di fondo dell’Amministrazione statunitense è ridurre l’enorme deficit commerciale nello scambio di beni con il resto del mondo: 810 miliardi di dollari nel 2017. È bene sottolineare che l’Amministrazione ha in mente solo lo scambio di beni. Non considera i servizi, che generano un surplus e abbassano il rosso a 568 miliardi (il 2,9% del Pil). Tanto meno considerano l’effetto delle catene globali del valore, il fenomento per cui all’interno di beni importati, per esempio dalla Cina, ci sono componenti prodotte negli Stati Uniti. Quella sul deficit è la promessa fatta nella campagna elettorale per le presidenziali, vinta per un soffio proprio in Stati in cui sopravvive l’industria siderurgica e che saranno cruciali anche nelle elezioni per il rinnovo parziale del Parlamento a novembre.
Tornando alla Ue, il suo surplus commerciale verso gli Usa (solo beni) è di 151 miliardi di dollari. Secondo Trump, la Ue applica dazi generalmente più alti di quelli Usa (ma gli europei ricordano che Washington applica un maggior numero di barriere non tariffarie), in particolare sulle auto.
Come si è comportata la Ue?
Si è mossa su diversi fronti. La Commissione ha subito fatto ricorso alla Wto e ha preparato una lista di prodotti Usa che è pronta a colpire con dazi «compensativi». Si chiamano così perché la Wto consente agli Stati membri danneggiati da misure protezionistiche unilaterali di rispondere con dazi, ma solo nella misura del danno economico subito. Bruxelles ha anche avviato il monitoraggio delle importazioni di prodotti siderurgici per verificare se ci sono aumenti dovuti al reindirizzamento verso le sue dogane dei prodotti che non riescono più a entrare negli Usa. L’altro fronte su cui si è mossa l’Europa è quello negoziale. Qui l’iniziativa è però in mano soprattutto ai Governi di Berlino e Parigi.
E quali iniziative hanno messo in campo Francia e Germania?
Come contropartita per evitare la spirale di ritorsioni, Francia e Germania propongono cose diverse. Parigi ha cercato di dissuadere Trump offrendogli cooperazione nella crociata contro l’avanzata tecnologica e lo shopping di aziende occidentali da parte della Cina. Parigi ha anche offerto a Washington sostegno nella riforma della Wto, l’organizzaaione mondiale del commercio, dalla quale gli Usa si sentono penalizzati. La Francia è restia ad aprire il capitolo del trattato commerciale con gli Stati Uniti, in sostanza riesumando l’accordo Ttip, perché teme incursioni su dossier sensibili come agro-alimentare e tutela dell’am biente. Berlino, invece, ha segnalato anche ieri la disponibilità a percorrere proprio questa strada. Tuttavia, anche la Germania sta valutando l’ipotesi di rendere più difficili le acquisizioni di aziende tedesche.
Quale sarebbe l’impatto dei dazi sui Paesi che esportano negli Usa?
Secondo le stime di Chad Bown, del Peterson Institute for International Economics, i dazi faranno scendere di 14,2 miliardi di dollari le importazioni Usa. Il Canada perderebbe 3,2 miliardi, la Ue 2,6 miliardi, la Cina 689 milioni.
Dei Paesi minacciati dai dazi, chi ha ceduto a Washington?
La Corea del Sud ha accettato di rivedere il trattato di libero scambio siglato sei anni fa e si è imposta un tetto alla quantità di prodotti siderurgici che potrà esportare ogni anno negli Usa (il 70% delle vendite medie di acciaio negli Usa nel periodo 2015-2017). Seul ha anche accettato di siglare un accordo parallelo in cui si impegnerebbe a non svalutare la propria moneta. Canada e Messico stanno negoziando con gli Usa la riformulazione del Nafta.
Qual è il ruolo della Wto?
L’Organizzazione mondiale del commercio rischia di rimanere ai margini se non stritolata. Cina, Ue e altri Paesi hanno presentato ricorsi all’organismo di soluzione delle dispute. Il tribunale della Wto può autorizzare un Paese membro a misure di compensazione (non punitive), se ritiene che questo sia stato danneggiato da un altro Stato, in violazione delle regole del commercio internazionale. I procedimenti sono però lunghi e l’organo d’appello rischia la paralisi per il boicottaggio degli Usa, che bloccano il rinnovo dei suoi giudici. Inoltre, la corte della Wto si troverà nella non facile posizione di decidere se gli Stati Uniti abbiano o no ragione quando sostengono che le imortazioni di prodotti siderurgici sono un rischio per la propria sicurezza nazionale. Un verdetto contrario darebbe nuovi argomenti alla Casa Bianca per sostenere che la Wto penalizza gli Usa.
Come funziona un dazio?
Un dazio è una forma di accisa applicata a un bene importato: il suo prezzo sale in base all’aliquota stabilita. L’effetto è di alzare il prezzo di quel bene sul mercato interno, aumentando il ricavo dei produttori nazionali e la spesa sostenuta dai consumatori. Questo, in teoria, spinge i produttori locali a offrire una quantità maggiore del bene “protetto” e i consumatori a comprarne meno, riducendo le importazioni. Per la teoria economica, il vantaggio accordato da un dazio ai produttori (e allo Stato, tramite il maggior gettito fiscale) è inferiore allo svantaggio economico imposto alla generalità dei consumatori e quindi rappresenta un danno per l’economia nel suo complesso. Gli economisti tendono a riconoscere l’utilità dei dazi solo a tutela di industrie nascenti, nelle prime fasi del loro sviluppo. A queste considerazioni si contrappongono gli argomenti che vedono nei dazi una difesa dei produttori locali da pratiche di dumping (di prezzo, sociale e ambientale) e dalle svalutazioni competitive. La via accettata dai 164 membri della Wto per affrontare queste problematiche è quella multilaterale e del ricorso al suo organo di risoluzione delle dispute.
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a cura di
Gianluca Di Donfrancesco