La Stampa, 1 maggio 2018
Le pressioni di Trump su Israele
Il dado è quasi tratto. Almeno a guardare la strategia con la quale Donald Trump e Benjamin Netanyahu hanno concertato il loro affondo all’accordo sul nucleare iraniano, alla cui scadenza mancano 11 giorni. «Quello che è successo oggi mostra che ho avuto ragione al 100%», avverte Donald Trump. L’inquilino della Casa Bianca, durante la conferenza stampa dal giardino delle rose col presidente nigeriano Buhari, rilancia, in perfetta sincronia, le accuse mosse quasi in contemporanea dal premier israeliano, secondo cui Teheran ha sempre mentito e continua a sviluppare la bomba atomica. E dopo aver mostrato in mondo visione le presunte prove, afferma: «Sono sicuro ora che Trump farà la cosa giusta per gli Usa, per Israele e per la pace nel mondo». I dettagli del dossier che inchioderebbe Teheran vengono discussi domenica tra Netanyahu e Trump, il quale garantisce «l’autenticità dell’archivio segreto ottenuto da Israele». «È una situazione inaccettabile», chiosa il presidente che, sulla prossima mossa Usa, avverte: «Vedremo cosa succede. Non vi dico cosa farò ma in molti credono di saperlo».
La regia è triangolare e vede il segretario di Stato Mike Pompeo sponsorizzare la linea defezionista israelo-americana tra gli alleati arabi del Medio Oriente. L’Iran, secondo Pompeo, aspira a «dominare il Medio Oriente». In questo senso è pericoloso tanto quanto lo Stato islamico, argomento che rilancia in Giordania, terza e ultima tappa del suo tour. «Sconfiggere definitivamente l’Isis, impedire l’uso di armi chimiche e prevenire l’espansione iraniana». «Queste le priorità degli Usa in merito al conflitto in Siria», sottolinea il segretario di Stato da Amman.
Perorare la causa anti-Teheran è il leit motiv del tour iniziato dai soci della Nato, 12 ore dopo il giuramento da segretario di Stato. Proprio mentre il presidente francese Emmanuel Macron e la cancelliera tedesca Angela Merkel sono alla Casa Bianca per convincere Trump a ripensarci sull’uscita degli Usa dall’accordo. Da Bruxelles il capo di fogge Bottom fa intendere che Washington è pronta a lavorare assieme agli europei «per aggiustare l’accordo», ma si deve agire in fretta. Si lancia quindi in Medio Oriente, dove visita i due alleati chiave, Arabia Saudita ed Israele, affermando che l’Iran «è il maggiore fomentatore di terrorismo al mondo». Pompeo assicura che «a differenza dell’amministrazione precedente» quella attuale non è disposta ad ignorare «l’ampiezza del terrorismo iraniano»: invece di moderare le attività del regime, l’accordo del 2015 l’ha reso più aggressivo.
Al netto dell’ennesimo tentativo telefonico da parte di Macron a convincere Trump, il dado è quasi tratto. «Le possibili conseguenze sono sottostimate», spiega Bob Baer, ex operativo della Cia in Medio Oriente. «Quello che fa più paura è che Netanyahu si stia coordinando con l’amministrazione Usa per prepararsi alla guerra. John Bolton e Pompeo vogliono la guerra e hanno convinto Trump – aggiungono fonti diplomatiche -. L’America ripristinerà le sanzioni e darà carta bianca a Israele per colpire obiettivi iraniani. Teheran risponderà con attacchi missilistici, anche attraverso le sue procure nella regione e l’escalation è assicurata». «Credono che in questo modo il regime iraniano crolli e venga instaurata la democrazia – mette in guardia Baer -. Proprio come con l’Iraq di Saddam Stesso schema, stesse persone».