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 2018  aprile 30 Lunedì calendario

«Coppola e non solo. Ecco la nostra strana famiglia artistica»

ROMA Dopo vent’anni a girare il mondo, collezionare oggetti, assaggiare cibi e scrivere film insieme Wes Anderson, Jason Schwartzman e Roman Coppola sono ormai un’entità creativa a tre teste. Sono frutto del loro sodalizio le storie di Il treno per Darjeeling e ora L’isola dei cani, gioiello d’animazione stop motion, Orso d’argento alla regia all’ultima Berlinale, in sala da domani.
Il trio è in un piccolo hotel storico accanto a Piazza del Popolo a Roma. Wes e Jason seduti sul divanetto centrale, Roman, il più schivo, in una poltrona di lato.
Ambientato in un Giappone futuristico ma dal sapore vintage, L’isola dei cani racconta di una misteriosa influenza canina che ha reso necessaria la quarantena.
Ma sull’isola discarica in cui sono confinati i cani plana un ragazzino deciso a ritrovare il suo fido Spot.
Il mucchio selvaggio scoprirà il complotto di potenti che progettano lo sterminio dei cani.
Storia di ribellione, omaggio al Giappone dei lottatori di sumo, del teatro kabuki, del sushi. Da dove siete partiti?
Wes Anderson: «Una storia di cani abbandonati nella spazzatura. Da anni parlavamo di fare un film sul Giappone e sul nostro amore per quella cinematografia a partire da Kurosawa e Miyazaki: abbiamo immaginato un Giappone fantasy e abbiamo capito che era fatta».
Jason Schwartzman: «E poi ci sono le stampe di Hokusai e Hiroshige che Roman regalò a Wes. Da allora le colleziona, ne ha la casa piena».
Anderson: «Adoro tutto del Giappone, dall’architettura al cibo».
C’è una scena molto meticolosa con la preparazione, anche un po’ cruenta, del sushi.
Anderson: «Abbiamo pensato di realizzare una scultura animata del procedimento di preparazione del sushi. Era una scena comica, ma aveva bisogno di una cura estrema: non avrebbe funzionato senza il giusto grado di autenticità.
Ci siamo ammattiti per mesi».
Il cibo è una delle vostre passioni comuni?
Anderson: «Beh, Jason ha doppiato il suo ruolo in tutto il film in un’ora e mezza perché poi avevamo un appuntamento per cena».
Roman Coppola: «Quando ci vediamo per lavorare la prima discussione del mattino riguarda il ristorante da prenotare per la sera».
Come funziona il vostro schema creativo?
Anderson: «Dobbiamo prima di tutto essere fisicamente nello stesso posto. Poi cominciamo a parlare per ore. Magari non viene fuori nulla.
Oppure qualcuno propone un’idea e io “no, non funziona”. E tutti ci mettiamo nel mood negativo.
A volte discutiamo del futuro ma sul progetto presente ogni giorno la questione è: “Cosa succederà ora nella storia?”».
Come vi dividete i ruoli?
Coppola: «Wes è il capo, è lui il regista e noi siamo al servizio della sua visione. Jason è quello che ha le idee più pazze, le trovate più divertenti e inaspettate. Io sono quello sulla torre di controllo».
Anderson: «A Jason chiedo: “Come risponderebbe un personaggio in questa situazione?”. Roman è più analitico, tiene d’occhio la struttura, cosa funziona davvero».
Coppola: «In realtà sono curioso dei dettagli più che strutturato».
Anderson: «Sì ma la costruzione della narrazione passa attraverso il tuo modo di ragionare».
Vi conoscete da vent’anni.
Anderson: «Ho incontrato Roman quando non avevo ancora girato un film. Jason invece si presentò al provino di Rushmore. Io avevo 27 anni, lui 17».
Schwartzman: «E non avevo nessuna esperienza. All’audizione mi mandò un tizio conosciuto a una festa. Ero nervosissimo. Poi entrai e vidi che Wes indossava sandali Converse. Pensai che un tipo con quelle scarpe poteva diventare mio amico. Parlammo di tutto e quasi dimenticai il provino».
Anderson: «Lo mandai a fare un giro e finii di visionare gli altri. Quando tornò lo misi a fare la spalla di altri aspiranti al provino per il ruolo del figlio di Bill Murray. Familiarizzò con la troupe in due ore».
Schwartzman: «Pensavo fosse normale, scoprii poi che non lo era». Anderson: «Ma ti dissi che ti avevo preso?».
Schwartzman: «No».
Roman e Jason sono cugini: Anderson, com’è stato entrare nella famiglia Coppola?
Anderson: «Sofia l’ho incontrata un po’ dopo ma Roman me ne aveva talmente parlato che mi sembrava di conoscerla. La loro è una famiglia gigantesca piena di persone dai talenti davvero diversi. Suo padre (indica Roman che è figlio di Francis Ford, ndr) è il fratello di sua madre (indica Jason, figlio dell’attrice Talia Shire, ndr). Hanno tutti modi interessanti ed eccentrici di pensare ed esprimersi. Se fai una domanda ottieni sempre una risposta di altissimo livello».
Coppola: «Che non necessariamente capisci...».
Anderson: «Che non capisci subito, ma questo è un bene. Roman poi ha fatto di tutto al cinema».
Schwartzman: «Lo chiamiamo “il coltello svizzero”? È multitasking».
Anderson: «Jason invece ha una grande cultura musicale che gli arriva dalla famiglia. E un’ottima preparazione teatrale. Ognuno di noi ha portato la propria eredità e le abbiamo fuse nella nostra famiglia artistica. A cui si sono aggiunti Bill Murray e Owen Wilson, che viene dal Texas come me. E poi i nostri attori, molti dei quali hanno doppiato L’isola dei cani: Scarlett Johansson, Tilda Swinton, Jeff Goldblum, Edward Norton...».
L’avventura più bella insieme?
Anderson: «Ogni film è un’avventura. Questo lo abbiamo scritto in treno per l’America, California e Chicago, ma anche in Italia, in Francia, Inghilterra... Forse quella delle farfalle?».
Coppola: «Sì, quella è bella».
Anderson: «Viaggiavamo in India da molto per Un treno per Darjeeling.
Ebbi un incidente con l’elettricità indiana ed esplose la stampante che ci portavamo per stampare il copione. Eravamo depressi. Ci mettemmo in viaggio di notte sulle colline alle pendici dell’Himalaya.
Arrivammo col buio in albergo e andammo a dormire. Il giorno dopo ci portarono la copia della sceneggiatura. Aprimmo per la prima volta le persiane per leggere e ci accorgemmo di essere affacciati su una valle piena di alberi sulle cui cime si muoveva un’onda gialla che poi scoprimmo essere farfalle.
Migliaia di farfalle gialle. In quel bellissimo momento capimmo che il nostro viaggio era finito».
Mai una discussione?
Schwartzman: «Mai. Davvero».
Come riuscite, dopo tanti anni, a evitare la routine?
Anderson: «Cambiamo tutto ogni volta, storia, luogo, viaggio.
Impariamo un mondo nuovo e quello è il processo più importante. Questa è la chiave per lavorare in modo divertente e mantenere freschezza».