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 2018  aprile 30 Lunedì calendario

Laura Morante: «Alla cara zia Elsa il mio primo libro»

Avrebbe potuto essere una nota scrittrice da decenni, infatti. «Ho cominciato a scrivere racconti giovanissima, a scuola, era il mio modo di svolgere i temi e la mia professoressa l’aveva accettato. Finita la scuola media scrissi un unico racconto, e lo feci leggere a mio padre che era per me il giudice supremo e a lui non piacque: rileggendolo poi lo elogiò, forse in modo esagerato.

Ma per me era troppo tardi. Non riuscii più a scrivere neppure a scuola, mi assegnavano un tema, io scoppiavo a piangere e consegnavo il foglio bianco». Però Laura Morante non si è perduta, abbandonata dalle letteratura si è costruita una intera vita nel cinema: e solo da poco le è ritornato il coraggio di scrivere, fustigata dall’amicizia di Elisabetta Sgarbi, presidente della Nave di Teseo, che non le ha lasciato scampo. Furiosamente, in poco più di un anno, «ho messo insieme otto racconti lunghi e sette brevi, tutti di seguito, e li ho riuniti, alternati». Quelli brevi li ha chiamati Interludi, accompagnati dalle note musicali di Nicola Piovani, suo grande amico «perché per me il suono delle parole conta almeno quanto il loro significato». Alla casa editrice raccontano il tormento subito dal suo raro perfezionismo, che chiedeva continui cambiamenti di frasi, parole, punteggiature, decidendo all’ultimo di liberarsi da un linguaggio che le sembrava ricercato per trovarne uno tutto suo, che la specchiasse. Così nasce Brividi immorali e c’è chi prima di sfogliarlo alza gli occhi al cielo: eccone un’altra, una nuova scrittrice forse di porcherie, con quel titolo accattivante. Errore, tra le 232 pagine neppure un’immagine un po’ carnale, e se c’è amore, è vissuto con ironia se non comicità. Meno male. «Non so perché non scrivo di sesso. Non credo sia una questione di pruderie. Se scorgessi la possibilità di narrare attraverso una scena di sesso, senza essere né generica né banale né retorica né enfatica né disonesta, non credo che mi tirerei indietro. Al cinema, come spettatrice, nella maggior parte dei casi le scene di sesso mi annoiano, in genere aspetto che finiscano perché finalmente ricominci il film. Anche come regista sinora le ho evitate». I racconti escludono il mondo del cinema: al massimo c’è una sala cinematografica dove qualcuno che non dovrebbe si sbaciucchia nel buio, oppure c’è un teatro dove si commemora un grande regista; ed è la storia più visionaria, intricata e forse buffa, quella dalla scrittura più squisita eppure più tormentata. Perché questa Morante inaspettata si esprime in modo avvincente, accurato, ironico, non si vorrebbe esagerare, e il giudizio è da lettrice non da critico, davvero appagante: letteratura. Storie senza tempo dice lei, e che pure paiono molto legate a un passato che in qualche modo sembra autobiografico; infanzie, adolescenze, famiglie, l’anoressia, gli psicologi, le insicurezze, le paure, le solitudini tra i tanti, la campagna, le case contadine, le ville signorili, i campi di grano.

«Cerco di essere sincera, forse non lo sono stata abbastanza; certo ci sono frammenti di vita vissuta, però attribuiti a personaggi diversi». Per esempio in 1966 (in quell’anno Laura aveva dieci anni), due amiche bambine, e quella di famiglia colta, disordinata e libera potrebbe essere lei, si rivelano nel tentativo di salvare una gatta e i suoi micini; mentre in Vanità il breve “Interludio per voce femminile”, divertente e crudele, sul viso della ragazzina presentata alla famosa Cantante, (Callas?), scritto con la maiuscola, che le è del tutto ignota, pare di vedere l’espressione compita e vacua che talvolta Laura dà a suoi cinepersonaggi perduti nello sconforto. Storie e personaggi nella sua grande famiglia ce ne sono. Suo padre, Marcello, aveva una madre dispotica, maestra montessoriana e scrittrice frustrata, e due padri, quello ufficiale, Augusto Morante, e quello biologico, un bel signore già sposato e padre per conto suo, del tutto assente. Marcello era il terzo di quattro figli del bel signore, la prima era Elsa, Elsa Morante, che sarebbe diventata la meravigliosa autrice di L’isola di Arturo, di La storia. Con una zia così grande, come si fa a mettersi a scrivere, ad averne il coraggio o addirittura la superbia? «Anche senza consultare un analista ritengo più che probabile che la mia parentela con Elsa mi abbia intimorita, forse inibita. Ma non c’è soltanto Elsa. Nella nostra famiglia scrivono più o meno tutti, alcuni di noi magari lo fanno quasi di nascosto. L’idea di una possibile rivalità mi faceva molta paura, temevo che potesse minare i rapporti familiari. È solo una fobia, senza alcun fondamento reale.
Tutto succede nella mia testa, ma il pensiero è materia, dicono». Suo padre era giornalista e scrittore, tra i suoi sette fratelli e sorelle (più due fratellastri) scrivono Silvia, scienziata, e Daniele, il solo dei 14 nipoti che Elsa continuò a vedere.
Nella bella biografia della più celebre coppia della nostra letteratura, MoranteMoravia, (della sola Morante ne è appena uscita una in Francia, di René De Ceccatty) l’autrice Anna Folli nomina Laura solo una volta, ricordando come Elsa avesse litigato col fratello Marcello proprio per lei. Laura se lo ricorda: «Ero una bambina e Pasolini si era messo in testa di farmi recitare nel Decameron. Mio padre era di idee aperte e ammirava molto Pasolini con il quale aveva girato Il Vangelo secondo Matteo, interpretando san Giuseppe, mentre mio fratello Giacomo era San Giovanni, e quindi avrebbe dato il suo consenso senza problemi. Elsa invece era assolutamente e ferocemente contraria, e secondo me aveva ragione. Mio padre comunque cedette per non litigare oltre con la sorella e io non feci il film. Credo di poter dire per fortuna». Cancellata la scrittura, il cinema è diventato il suo mondo, la sua stessa vita: bella, elegante nei modi, colta, molto segreta, allo stesso tempo insicura e puntigliosa, drammatica e ironica, ha ipnotizzato i nostri registi più geniali, da Moretti ad Amelio, da Giuseppe e Bernardo Bertolucci a Salvatores, da Virzì a Verdone: è diventata regista di se stessa ( Ciliegine, Assolo), ha due figlie, Eugenia, dal regista Daniele Costantini, e Agnese dall’attore Georges Claisse. Insieme all’attuale marito, fuori dal cinema e dalla letteratura, l’architetto Francesco Giammatteo, ha adottato Stepan.
Circola adesso il film Bob & Marys del regista Francesco Prisco, con lei e Papaleo. Purtroppo il cinema italiano talvolta zoppica: meno male per Laura Morante, che finalmente si è decisa a scrivere.