il Fatto Quotidiano, 30 aprile 2018
Infelicità dei paesi scandinavi
L’economia ha risalito la china della crisi e i cittadini, delusi dal welfare della vecchia socialdemocrazia, sono sempre più affascinati dalle sirene di destra e preferiscono i conservatori al potere. Lo Stato sociale è andato via via sgretolandosi sotto i colpi dei tagli di bilancio, della privatizzazione del pubblico a favore di speculazioni selvagge, della “non” volontà politica di accogliere e integrare profughi e immigrati, ghettizzati in periferie sempre più pericolose. L’uso di droghe pesanti è aumentato in modo esponenziale, il tenore di vita medio è tra i più alti d’Europa, come pure i numeri dei suicidi. Quando al Pil non corrisponde il Bil, il Benessere interno lordo, ci si toglie la vita con maggiore frequenza.
Ce lo insegna, inaspettatamente, la Scandinavia, dove i giovani più che di overdose e incidenti stradali, muoiono suicidi, secondo le cifre della Global Burden of Disease Study. I dati completi sono del 2016 e vedono in testa la Finlandia, con 33 uomini e 9 donne suicidi ogni 100 mila persone di età compresa tra i 15 e i 49 anni. Circa 5 milioni e mezzo gli abitanti del Paese incoronato dall’ultimo World Happiness Report dell’Onu come il più felice al mondo, secondo i criteri di reddito, salute, istruzione (sono in vetta per numero di laureati ma anche per la lentezza con cui conseguono la corona d’alloro), lavoro, aspettative di vita, stato sociale, corruzione, libertà, generosità, fiducia nelle istituzioni e inclusione, ovvero per la prima volta è stata quantificata anche la felicità degli immigrati.
Curioso: secondo i dati Eurostat marzo 2017, la Finlandia (che nel 2016 ha respinto 20 mila rifugiati), ospita appena 28 mila immigrati e ha grosse lacune nel processo di accoglienza di minori non accompagnati, poco più di 3 mila. La performance economica della Finlandia nell’ultimo decennio è stata tra le più lente dell’UE, ma il 2017 è andato bene: il surplus operativo delle imprese è cresciuto del 17,5% e gli utili in generale sono aumentati del 10%.
I suicidi scendono a 20 uomini e a 7 donne ogni 100 mila abitanti in Svezia. Da sempre incline a trattare con tanta discrezione i propri panni sporchi, il Paese scandivano, nonostante un’economia oggi in buona salute, deve fronteggiare crisi antropologiche senza precedenti, cui si sommano storici punti nevralgici. La settimana scorsa, dopo una lunga agonia mediatica, ha dato le dimissioni Sara Danius, Segretario permanente della prestigiosissima Accademia di Svezia, quella dei Nobel, la cui reputazione è stata travolta dalle macerie dello scandalo sessuale rivelato da #metoo.
Il Paese simbolo e modello del welfare, prototipo istituzionale che annulla le differenze sociali livellando le opportunità, si è così rivelato culla di corruzioni e abusi, di contraddizioni che avvelenano il clima sociale, alimentando la pancia mai sazia di populisti e gruppi di neonazisti in rapida ascesa, e proprio alla vigilia del voto d’autunno.
Il Governo di minoranza rosso-verde guidato da Stefan Löfven ha optato per grossi e impopolari tagli allo Stato sociale pur di rimettere i conti in ordine. Durante il suo mandato, l’attentato terroristico che un anno fa costò la vita a cinque persone, ed una Svezia insolitamente sconfortante. “Rifugiati? Mancano alloggi ed insegnanti di lingue: è meglio cerchino asilo in altri Paesi, con più opportunità”.
Così la sua Ministra delle Finanze Magdalena Andersson (Socialdemocratica) secondo la quale “è necessario fare autocritica ed ammettere che il sistema di integrazione e accoglienza svedese, non ha funzionato”. Nonostante il giro di vite in materia di rifugiati scattato due anni fa, i controlli alle frontiere ed i rimpatri di massa, il numero di permessi di soggiorno concessi si è confermato a livelli record: 50.100 nel 2017.
Il fenomeno si spiega con un’impennata dei ricongiungimenti famigliari, che la Svezia ammette per una politica molto più morbida rispetto a Danimarca, Norvegia, Finlandia. Per questo, euro-egoismi a parte, il Paese non può più negare il degrado dilagante in cui gli immigrati sono sempre più spesso costretti a sopravvivere. Gli alloggi per rifugiati mancano non solo perché i Comuni non hanno più fondi per crearne, ma anche perché molti edifici sono stati rasi al suolo tra il 2016 ed il 2017, da incendi di matrice razzista. S’ingrossano anche le fila dei minori non accompagnati tra i quali aumentano le baby mamme che non possono essere rimpatriate perché dichiarano un’età compresa tra i 13 e i 17 anni, ma hanno già uno o più figli.
Criminalità. Il Governo ha scelto di fare maestosi investimenti sulla Difesa soprattutto per proteggere la strategica isola baltica di Gotland dagli appetiti di Putin, lasciando però le forze di Polizia sotto organico. Pensare che la Svezia nel 2017 si è classifica tra i 30 Paesi al mondo maggiori produttori ed esportatori di armi.
Bande criminali di stranieri clandestini si contendono da anni i traffici illeciti nelle città maggiori, dove non fa più notizia morire per l’esplosione di una granata trovata per strada, rimasta inesplosa a margine di guerriglie tra cosche. L’Ultimo caso il giorno della befana, a Vårby Gård, a sud di Stoccolma, dove un sessantenne è morto per aver raccolto una bomba fuori dall’uscita della Metro. Si tratta di residui bellici provenienti dall’ex Jugoslavia, a buon mercato e di facilissimo reperimento. Colpiti da ordigni anche centrali di Polizia e Tribunali nel 2017, quando si sono contate 320 sparatorie e 43 morti. Sequestrate 22 bombe a mano e 200 armi da fuoco. Esasperato, il ministro della Giustizia Morgan Johansson ha decretato due amnistie temporanee per chi consegnasse spontaneamente gli ordigni.
La carenza di alloggi, esito di politiche abitative anacronistiche, ha portato a 33.250 senzatetto. Sono svedesi, pensionati, divorziati, e soprattutto in continuo aumento. Come i bambini al 41 Bis, detenuti in isolamento anche se minori di 17 o 15 anni, perché qui l’ordinamento giuridico continua a prevedere il carcere duro in isolamento anche per i mini carcerati, nonostante i richiami che si sono susseguiti negli ultimi 25 anni, da parte dell’Onu e dell’UE.
Infanzia dolorosa nell’ex paradiso del welfare secondo il Centro studi del Crimine di Norrköping anche per gli oltre 30 mila bambini con un genitore in galera, completamente ignorati dallo Stato sociale, cui si aggiunge il fatto che, incrociando i dati dei diversi Uffici impegnati nel settore della tutela e della prevenzione, circa il 20% dei minori cresce con almeno un genitori che abusa di alcol.
Terza nella classifica dei suicidi la ricca Norvegia, Paese più felice al mondo 2017, con una media di poco più di 20 uomini e poco meno di 7 donne ogni 100 mila abitanti che decidono di togliersi la vita. Lo scorso settembre è stata riconfermata al potere la premier conservatrice Elsa Solberg, premiata non solo per la gestione delle ricche risorse del Paese primo produttore di greggio in Europa, ma anche per la sua rigorosa conversione alle energie pulite. Più robusta che mai dunque l’economia della Norvegia, da sempre intimamente angosciata dalla prospettiva del dopo-petrolio, e quindi attenta a diversificare gli investimenti e a tener lontani i pericoli. Senza troppo clamore, la Norvegia negli anni ha rifiutato professionisti provenienti da altri Paesi, sotto la pressione dei suoi cittadini più giovani che non volevano perdere forza contrattuale e gli stipendi da favola. Sempre in sordina, ha costruito un muro anti-profughi al valico di Storskog, al confine con la Russia, una barriera lunga 200 metri e alta 3 e mezzo, che si è sommata all’incessante controllo delle frontiere.
Anche qui però, il Pil cozza col Bil. Il fenomeno delle tossicodipendenze è andato crescendo da quando, nel 2012, le analisi delle acque nere hanno dimostrato che Oslo era capitale europea per uso di cocaina. A poco sono servite le cabine riservate ai drogati per le iniezioni e la distribuzione di siringhe pulite, istituite dal welfare per arginare l’Aids. Infine la Danimarca, con circa 18 uomini e cinque donne suicida ogni 100 mila abitanti, un’occupazione così piena da contrarre il Pil a causa della mancanza di manodopera risultato, anche qui, di una politica protezionista del lavoro e delle professioni.
A fare le spese dello smantellamento della cosa pubblica, è in primis la scuola, depauperata degli insegnanti migliori “rubati” dagli istituti privati. Il dato più eclatante del declino sociale qui è il numero crescente dei clochard, cresciuti nel 2017 dell’8%. Chi punta il dito sulla bolla immobiliare per gli effetti distorsivi dei tassi, chi su una ridistribuzione sempre più iniqua della ricchezza, il risultato non cambia: 6.635 persone, nel 2017, vivevano per strada.