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 2018  aprile 30 Lunedì calendario

Il rinnovo del Csm possibile ribaltone tra i magistrati (guidato da Davico)

All’ombra delle convulsioni dei partiti c’è un’altra campagna elettorale che sta entrando nel vivo: quella per il rinnovo del Csm. A luglio magistrati eleggeranno i 16 membri togati e il Parlamento gli 8 componenti laici. Il clima è stato surriscaldato negli ultimi giorni da tre fatti collegati: la pubblicazione di un libro sul caso Robledo che mette sotto accusa il Csm e il sistema delle correnti; la discesa in campo di Piercamillo Davigo a capo della corrente «anti-establishment» Autonomia e Indipendenza; la polemica contro Csm e Anm scagliata dal pm antimafia Nino Di Matteo all’indomani della sentenza del processo sulla trattativa Stato-mafia.
Si delinea una resa dei conti elettorale. Il dibattito si è infiammato nelle assemblee e nelle mailing list dei magistrati a partire dalla pubblicazione del libro «Palazzo d’ingiustizia» (Marsilio). Il tema è lo scontro, partito nel 2014 nella Procura di Milano tra l’allora procuratore Bruti Liberati e l’aggiunto Robledo. L’autore, il giornalista Rai Riccardo Iacona, ricostruisce nei dettagli la vicenda ma la rilegge in chiave politica. La tesi è che la sorte toccata a Robledo, trasferito e privato delle funzioni di pm per aver denunciato omissioni e insabbiamenti di indagini su politica e affari, sia esemplare del nuovo corso della magistratura: archiviato il ventennio berlusconiano di guerra con la politica, una casta di capicorrente gestisce in modo cooperativo i rapporti con governo e partiti, decide nomine e promozioni secondo canoni di fedeltà anziché di merito, isola e punisce chi non si adegua (nell’ultimo anno i procedimenti disciplinari sono cresciuti del 50%).
La tesi è supportata da interviste a magistrati di peso. Una di queste è particolarmente dura: il magistrato veneto Andrea Mirenda accusa il Csm di utilizzare «metodi mafiosi». Dalla Anm e dal Csm si sono levate proteste, fino a invocare procedimenti disciplinari. Per difendere Mirenda è intervenuto Davigo. Negli stessi giorni il pm palermitano Di Matteo, forte della vittoria processuale sulla trattativa Stato-mafia, lamentava «l’assordante silenzio» della magistratura associata e del Csm (quindi, implicitamente, delle correnti «di sistema») a fronte degli attacchi subiti dal mondo politico.
Un uno-due pugilistico che segna l’avvio della campagna elettorale più incerta e velenosa della storia del Csm. Inedita la sfida tra quattro correnti: Area di centrosinistra; Unicost centrista; Magistratura Indipendente originariamente collocata nel centrodestra anche se il leader Cosimo Ferri è appena stato eletto in Parlamento nel Pd. E poi c’è il quarto incomodo, il protagonista più battagliero e mediatico: Davigo.
L’ex dottor sottile del pool di Mani Pulite ha fondato la corrente Autonomia e Indipendenza con una scissione da Magistratura Indipendente. Il suo esordio elettorale in un convegno nel palazzo di giustizia di Roma è stato uno show. Ha irriso il Csm paragonandolo a Caligola per l’arbitrarietà delle nomine: «Ormai mi aspetto perfino la nomina di un cavallo» a capo di una Procura o di un tribunale. Pochi giorni dopo, in piena campagna elettorale, ha impugnato davanti al Tar la decisione del Csm di preferirgli Domenico Carcano come presidente aggiunto della Cassazione.
Davigo e Di Matteo sono i magistrati più stimati dal M5S. Entrambi hanno partecipato un anno fa a un convegno organizzato dal M5S alla Camera. Evocato polemicamente da Berlusconi come «il loro vero candidato premier», Davigo ha sempre smentito incontri con Grillo e velleità politiche. Ma il suo sodale Sebastiano Ardita, pm siciliano antimafia e candidato con lui al Csm, l’anno scorso era stato ospite applaudito alla kermesse di Davide Casaleggio a Ivrea. Dove quest’anno la star è stata Di Matteo.
L’esordiente corrente di Davigo ha il vento in poppa, come tutti i movimenti anti-sistema. Vanta un leader carismatico e immacolato, ha posizioni riconoscibili, sa come farsi apprezzare da una base delusa. Agita le ultime contestate nomine del Csm, che hanno beneficiato toghe reduci da esperienze, anche lunghe, in partiti e Parlamento. I rivali la temono, tanto da aver rinunciato a opporre un avversario in grado di sbarrare la strada ad Ardita nel collegio dei pubblici ministeri. Davigo sbancherà tra i cassazionisti. Circolano già tabelline su quali potrebbero essere i numeri del nuovo Csm. Autonomia e Indipendenza potrebbe eleggere tre, se non tutti i suoi quattro candidati, e scavalcare una, se non due correnti storiche. Contemporaneamente il M5S, che nel vecchio Csm aveva eletto solo uno degli otto membri laici, questa volta potrebbe indicarne tre.
Gli uni e gli altri potrebbero costituire un blocco forte, radicato e ideologicamente coeso, mentre il patto tra correnti tradizionali scricchiola e si dimensiona il fronte di sinistra, con il Pd che potrebbe scendere da 4 a un seggio. L’onda lunga del 4 marzo potrebbe provocare un clamoroso ribaltone negli equilibri di potere nella magistratura, con effetti a cascata su nomine nelle Procure più importanti, giurisprudenza disciplinare, poteri dei capi degli uffici, interlocuzione con il governo.