Corriere della Sera, 30 aprile 2018
Israele e le biciclette
DAL NOSTRO CORRISPONDENTE
GERUSALEMMEAlla vigilia del bar o bat mitzvah ogni ragazzino/ragazzina sognava di ricevere una bicicletta che sancisse, assieme alla maggior età religiosa, anche la maturità raggiunta per andarsene a pedalare sulle strade sterrate attorno ai kibbutz. Per tutti quel desiderio si materializzava nei telai pesanti come trattori e nelle catene unte di grasso scuro delle Harash Ofan Cycles (Hoc). Erano gli anni Cinquanta e l’austerità di una nazione appena nata limitava le scelte al primo – e allora unico – produttore locale: le bici d’importazione erano troppo care per le tasse doganali, restava in giro qualche Raleigh abbandonata dai britannici con le ambizioni di estendere l’impero alla Palestina.
La Hoc, fondata da Menachem Goldberg, impiegava cinquanta lavoratori e produceva 600 modelli al mese. Pezzi che cinque anni fa sono stati esposti al museo del Design di Holon, perché gli israeliani li ammirassero con nostalgia ma pochi rimpianti. Ormai le due ruote non sono più il mezzo di trasporto per agricoltori socialisti senza alternative: a Tel Aviv o Gerusalemme le strade sono percorse da ciclisti hipster e pedalatori della ruota fissa, con barbe e pantaloni alla zuava come quelli indossati all’inizio del secolo scorso da Theodor Herzl, l’ideologo del sionismo, che in bicicletta attraversava i viali di Vienna. La prima corsa nel 1932, quando lo Stato ancora non esisteva e i primi immigrati dall’Europa avevano deciso di organizzare le Maccabiadi, le Olimpiadi per gli atleti ebrei, inclusa una sfida ciclistica sulla costa di Tel Aviv, dove passerà anche il Giro d’Italia. Adesso l’Israel Cycling Federation conta oltre 10 mila iscritti e 60 squadre registrate. Con il progetto Bike4all la Federazione ha fondato cento club dove bambini ebrei e arabi possono divertirsi e allenarsi insieme, provare a convivere. La passione degli israeliani è recente e ancora in crescita: nel 2015 sono stati importati 426 mila «veicoli a due ruote non motorizzati» (così li definisce l’Istituto nazionale di statistica e quindi comprende i mezzi a pedalata assistita), un aumento del 21 per cento rispetto a tre anni prima. Fino a una ventina di anni fa i ciclisti dovevano superare gli ostacoli di strade non adeguate (senza percorsi dedicati) e le barriere culturali di politici convinti che «le bici sono adatte alle città europee. Qui siamo in Medio Oriente e gli israeliani adorano le loro auto o i loro cammelli» come rispondeva sprezzante un consigliere comunale di Tel Aviv. Dove oggi le piste ciclabili ormai coprono quasi 150 chilometri – è possibile andare dal porto di Jaffa a Sud ai quartieri residenziali a Nord con la spiaggia che fa da sfondo – e il sistema di biciclette in condivisione (Tel-O-Fun) voluto nel 2011 dal sindaco Ron Huldai ha spinto il 54 per cento in più degli abitanti a spostarsi pedalando. La strada per convincere tutti i politici resta ancora in salita. Il governo ha finora bloccato una proposta di legge della Israel Bicycle Association che vorrebbe favorire l’uso per andare al lavoro: esenzioni fiscali ai dipendenti che sudano verso l’ufficio, aiuti alle aziende per installare le docce in un Paese dove le temperature per tre-quattro mesi l’anno possono superare di molto i 30 gradi. Shirat Hasticker (la canzone degli sticker) elenca in sequenza gli slogan stampati sugli adesivi che tutti gli israeliani appiccicano al paraurti delle auto, ogni parola consacra la «tribù» ideologica di appartenenza. Così il romanziere David Grossman ha messo in versi per il gruppo hip-hop Hadag Nahash le divisioni interne del Paese. Che durante Yom Kippur, il giorno più sacro per l’ebraismo, contrappongono i laici agli ultraortodossi: l’assenza imposta per legge di auto o bus lo ha trasformato anche in una festa per famiglie, alla conquista senza pericoli dell’asfalto. Inaccettabile per i religiosi che dedicano le ventiquattro ore al digiuno, la penitenza e la preghiera. Fino al punto che da Gerusalemme il ministro dei Trasporti ha minacciato qualche anno fa Tel Aviv la profana di tagliare i fondi pubblici per il progetto Tel-O-Fun, se non fosse stato bloccato a Yom Kippur. Il sindaco ha risposto regalando l’accesso libero ai residenti per tutta la giornata.