Libero, 26 aprile 2018
A San Pietro più animali che santi
Nel duemila, al tempo del grande Giubileo, il Papa aveva chiesto 23 volte perdono. Ci fu un’altra richiesta. Giovanni Paolo II avrebbe dovuto chiedere scusa per la persecuzione inflitta agli animali dai suoi predecessori e dalla Chiesa cattolica. Gli animalisti insistevano. Non lo fece. Una ragione c’è. Anzi due. La prima, e se vogliamo controversa, è che la Chiesa e soprattutto i Papi hanno sempre voluto molto bene agli animali, anche quando non c’era la sensibilità maturata adesso. La seconda è che animali sono esseri speciali. Il Papa ad esempio non ha chiesto perdono agli angeli. Mi rendo conto che, stabilendo questo parallelo, sono temerario. Ma ho dalla mia alcuni racconti biblici e qualche allusione di grandi santi, anche se non hanno voluto dirla tutta per pudore. Parlo soprattutto delle colombe, dei cani ma anche degli asini, soprattutto di un’asina. Qui ne faccio un brevissimo accenno.
1) La colomba annuncia la pace portando nel becco un ramo d’ulivo a Noè sull’Arca. È annunciatrice della voce di Dio=angelo di Dio. Lo Spirito Santo nel Vangelo appare come una colomba.
2) Il cane che accompagna l’arcangelo Raffaele nel libro di Tobia, è inspiegabile culturalmente e storicamente: dunque è creatura divina. I cani per i semiti erano animali impuri. Tale e quale sono considerati ancora dall’islam. San Giovanni Bosco la pensava come me. Fu salvato varie volte da un grosso cane detto il Grigio, che non si sa da dove venisse, e lui confessò che di certo era qualcosa di assolutamente speciale. A questo riguardo San Paolo affermò che molti fratelli «senza saperlo avevano ospitato angeli».
E io ho sempre pensato che quei viandanti (come san Rocco) fossero accompagnati da cani-angeli. Padre (san) Pio da Pietrelcina amava la compagnia di un cane lupo ferocissimo di nome Leone, che con lui scodinzolava, mentre aguzzava i denti coi fraticelli ipocriti. Prima di lui, san Filippo Neri si separò dal mondo, meno che da un cagnetto di nome Capriccio, che dormiva nella sua cameretta e col suo respiro gli dava dolcezza. Angelo di Dio che sei il mio custode.
L’ASINA PARLANTE
3) Oltre all’asina e il suo puledro che Gesù volle e trovò misteriosamente al suo servizio per entrare a Gerusalemme sono figure misteriose, c’è nella Bibbia (libro dei Numeri) l’asina parlante che tre volte salva il suo padrone Balaam dalla spada di un arcangelo, ricevendone in cambio bastonate, e allora lei si mette a parlare e lo rimprovera. Fin qui, mi rendo conto, ho disposto in pagina più colore che sostanza esistenziale. Ma non è vero che gli animali, e la questione della loro natura e destino, siano periferici per noi rispetto alla domanda sul senso della vita, e, perciò, della morte. Se cioè come scriveva Francesco d’Assisi «nostra sorella morte corporale» sia la morte e basta. In tanti negano o nascondono per pudore l’interrogativo o l’angoscia sul loro aldilà. Sembra una debolezza da bigotti confessare questo tremore. Ma sui loro cani e cavalli e gatti o persino uccellini balzano su. Incredibile: ma è l’affetto ricambiato con queste creature che abbaiano o cinguettano che ne fa esplodere il senso religioso e il rifiuto del nulla.
Lo spiego a partire da alcuni incontri. C’è n’è stato uno in particolare. Sull’aereo papale con cui ho avuto l’immensa fortuna di accompagnare in molti viaggi Karol Wojtyla c’era una cinquantina di giornalisti internazionali. La più brillante era una reporter francese, mia amica, molto ma molto laica. Essa era colpita dal Papa, ma una cosa non digeriva, e guai a definirla futile. Che lei potesse sparire nel nulla non la preoccupava. La faceva arrabbiare moltissimo l’idea che la sua cagnetta, di nome Perdita (perduta), e che aveva girato il mondo con lei, dovesse sparire. Una religione che non prevedesse una beatitudine per creature così buone non può essere divina, è troppo ingiusta, un Dio così cattivo non le interessava. Io balzai dal sedile. Poco tempo prima un grandissimo prete, don Luigi Giussani, mi aveva detto: «Tutto ciò che ci è caro sarà salvato».
Nulla è perduto dunque, neanche Perdita. Noi non siamo monadi isolate. Che me ne faccio di una resurrezione dove sono salvato solo io e non le mie relazioni, affetti, amori. Giussani disse ancora: «Un’acciuga che fosse ingoiata da un tonno, avrà anche lei un posto nell’eternità». Glielo dissi, mi spinsi in là, forse esagerando: anche la sua Perdita risorgerà. «La resurrezione della carne» non è solo quella dei morti umani, azzardai. Papa Wojtyla forse informato della querelle poco tempo dopo disse che «anche negli animali c’è il soffio dello Spirito».
Tutto questo attiene alla tradizione cristiana. Ciò non esclude che in tanti cristiani si sia stati cattivissimi con gli animali, ma non è un’attitudine autorizzata. Partiamo dagli ultimi Papi. Non si conoscono particolari simpatie per gli animali domestici di Francesco: in Piazza San Pietro sono stati pappagalli e colombe ad avvicinarsi a lui.
I GATTI DI RATZINGER
Mentre Benedetto XVI è sempre stato circondato da gatti. Quand’era cardinale portava da casa, preparatogli dalla sorella, un vassoio di prelibatezze che distribuiva nel percorso tra piazza della Città leonina e il Sant’Uffizio. Si formava un corteo felino che le guardie svizzere dovevano interrompere.
Ratzinger se li portò anche nell’appartamento papale. Scriveva encicliche con un gattone in grembo, di nome Zorro, ma non era il solo che si inarcasse su divani e poltrone. Giovanni Paolo II stupì il cardinal Casaroli quando in Australia riservò cordialità a un koala. Prima di lui Paolo VI ricevette in dono da una scolaresca la cagnolina di nome Diana, che egli vezzeggiò per lunghi anni a Castelgandolfo, dove teneva anche un gattone dal pelo candidissimo Disse: «Gli animali sono la parte più piccola della creazione divina, ma noi un giorno li rivedremo nel mistero di Cristo». Pio XII aveva due pappagallini della Selva Nera che scorrazzavano liberi sulla sua scrivania. Ed è famosa la fotografia che lo ritrae con un cardellino sulla spalla. Un uccelletto mistico, come la colomba: la macchiolina rossa è un lascito di un antenato che cercò col beccuccio di togliere una spina dalla fronte del Nazareno, e una goccia segnò il suo petto.
Pio XI, uomo dal carattere duro, un alpinista, aveva una predilezione per un cane lupo, Dirk, se lo teneva in casa. Quando tornava in auto, Dirk scendeva e graffiava la portiera. Papa Ratti non tollerava che le guardie pontificie cercassero di salvaguardare la carrozzeria. Dei pastori abruzzesi gli avevano donato due aquile. Costruì per loro una gabbia altissima nei giardini vaticani. Andava ogni giorno a porgere loro tre chili di carne di cavallo fatta acquistare a Trastevere. Un giorno andò di consueto a trovare i rapaci che meditava di liberare, quando li trovò stecchiti. Scoprì che gli imbianchini avevano lasciato la vernice di minio ai bordi e le aquile l’avevano scambiato per sangue bevendolo. Le sue urla e la sua caccia agli imbianchini fu un fatto memorabile. Leone XIII, nell’800, famoso per le encicliche sociali, era un cacciatore, usava roccoli e vischio, ma poi la sera accarezzava e lasciava liberi gli uccelletti. A leggere il libro “Il bestiario del Papa” di Agostinio Paravicini Bagliani (Einaudi, pagg. 378, €32) si imparano tantissime altre cose. Che ad esempio i papi vietarono sin dal Medioevo di mangiare carne di cavallo, guai a macellarli. Ci sono proprio decreti ufficiali.
NIENTE CORRIDA
Perché il cavallo specie quello bianco era tenuto come essere speciale. Era usato come altare, il suo dorso era la base su cui nelle processioni poggiava l’ostensorio. Un privilegio riservato anche agli elefanti. E la corrida? Anche se i vescovi spagnoli fanno finta di nulla per non essere a loro volta infilzati, già nel 500 san Pio V aveva vietato la corsa dei tori. E soprattutto Benedetto XV nel 1920 ne riprese i concetti, dettando al suo segretario di Stato cardinal Pietro Gasparri la condanna a questi spettacoli definendoli «sanguinosi e vergognosi», una vera «barbarie».
Detto questo un invito. Se entrate nella basilica vaticana di San Pietro, provate a osservare questo fatto stupefacente: ci sono più animali che santi. Tre cani, un barbagianni nel monumento dedicato a Pio XII, due leoni del Canova, un cavallo al centro della navata centrale, una pecora per indicare mitezza. E 500 api, 470 colombe, 100 draghi, aquile, farfalle, serpenti, elefanti, delfini, coccodrilli, giaguari, balene, lucertole. Anche pipistrelli e unicorni. Sono 67 specie. Manca, forse, il gatto. Nessuno è perfetto.