la Repubblica, 27 aprile 2018
Incertezza politica e guerra dei dazi: il mix della paralisi
ROMA Le aziende italiane lo dicono senza mezzi termini: il protrarsi dell’incertezza politica potrebbe convincerle a congelare gli investimenti e a ridurre gli ordini, soprattutto di macchine utensili e auto.
Potrebbe deprimere il clima di fiducia di imprese e famiglie. Il guaio è che questi timori arrivano proprio nel momento in cui la ripresa internazionale, sia pure ancora robusta, comincia ad accusare qualche segno di stanchezza, con riflessi immediati sulla nostra economia. Lo dice l’Istat quando comunica che nei primi due mesi dell’anno l’industria ha prodotto meno dei mesi precedenti. E una analoga flessione si registra in Germania.
Lo sostiene la Banca d’Italia quando avverte che nel primo trimestre la crescita del Pil potrebbe ridursi allo 0,2% (contro lo 0,3 dello stesso periodo 2017). E sullo scacchiere europeo, Mario Draghi, preoccupato dai possibili contraccolpi della guerra commerciale innescata da Donald Trump e dal rallentamento della Cina, cerca di rinviare la fine degli acquisti di titoli da parte della Bce. «Pazienza, perseveranza, prudenza», suggerisce Draghi, la ripresa è forte ma qualche scricchiolio comincia a sentirsi. E così il capolinea del “quantitative easing”, ossia della più grande iniezione di liquidità realizzata nell’eurozona, si sposta sempre più avanti. Insomma, il quadro economico, pur positivo, è offuscato qui e là da più di un’ombra. Vediamo quali.
Se c’è un indicatore che più degli altri rivela la voglia delle imprese di investire, di puntare sulla ripresa, questo è il mercato delle macchine utensili. Il 2017 ha visto in Italia uno straordinario exploit dei loro ordini, grazie soprattutto agli incentivi del governo. Era quasi scontato che nei primi mesi di quest’anno non potesse ripetersi quella performance. E infatti nel primo trimestre la flessione è del 4,3% (meno 25,8 sul mercato interno, più 7,6 su quello estero). «Ma non è questo calo tecnico a preoccuparci – ci dice Massimo Carboniero, presidente dell’Ucimu, l’associazione dei costruttori di macchine utensili e di robot –. Alla fine del 2017 molte imprese hanno accelerato gli ordini perché pensavano che gli incentivi non sarebbero stati confermati. Cosa che poi per fortuna non è avvenuta. Quello che temiamo, invece, è che l’incertezza politica e quindi l’assenza di indicazioni chiare sulla politica industriale possa convincere molte aziende a congelare gli ordini, a non rinnovare il proprio parco macchine. E pensare che ci sarebbe ancora tanto da fare, dal momento che solo il 25% è stato sostituito». Insomma, i costruttori di macchine utensili non sono preoccupati dalla possibile frenata dell’economia internazionale (la richiesta dall’estero per ora continua ad essere forte) ma dai singulti della politica nazionale. Lo stesso timore arriva dall’industria dell’auto e dai suoi concessionari.
A marzo, per il secondo mese consecutivo il mercato ha registrato una flessione (meno 5,7%). «Il clima politico – dice il presidente dell’Anfia, Aurelio Nervo, pesa negativamente sugli ordini. E in aggiunta, interviene anche una ripresa economica più debole del previsto». Continuerà questa debolezza nei prossimi mesi? Il Documento di economia e finanza del ministro Padoan conferma per quest’anno la crescita dell’1,5% e rinvia la frenata ai prossimi due. Ma c’è chi vede invece avvicinarsi le nuvole fin dal 2018: sono i responsabili degli acquisti delle aziende manifatturiere. Attraverso le loro interviste viene costruito un indice ( il “Purchasing Manager Index”) che – ricorda sulla lavoce. info l’economista Francesco Daveri – è considerato «l’indicatore anticipatore del futuro per eccellenza». Ebbene, pur prevedendo ancora una fase di espansione, questo indice «mostra un netto peggioramento proprio nei primi mesi del 2018 per l’Eurozona e per l’Italia. Un altro segno del fatto che nei prossimi mesi – conclude Daveri – ci aspetta un probabile rallentamento della ripresa».
Il vero problema, tuttavia, è il contesto in cui questo rallentamento arriva. Se a frenare è un’economia come quella tedesca, la cui produzione ha già superato i livelli del 2008, ossia quelli pre-crisi, non è un dramma per nessuno. Diverso è il caso dell’Italia, dove la produzione non ha ancora recuperato i livelli di 10 anni fa e dove il Pil cresce ogni anno un punto in meno rispetto agli altri Paesi europei.