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 2018  aprile 27 Venerdì calendario

Damien Hirst. Confesso che ho rubato

Damien Hirst ha rubato. Questa volta non sono accuse di plagio che arrivano da altri, ma è lui stesso a confessarlo. Creare è un po’ copiare? Copiare è un po’ rubare? Sicuramente, dipende dal modo in cui un artista «si ispira» all’opera o all’idea di qualcun altro. L’arte è una cosa complicata, come ben spiega Francesco Bonami. E Hirst è sempre stato bersaglio di accuse di plagio, fin da quando irruppe sulla scena londinese diventando presto l’enfant terrible dell’arte contemporanea britannica, che ha dominato per un ventennio, vincendo il Turner Prize e facendo registrare l’allora record del mondo in un’asta di Sotheby’s nel 2008 dove le sue opere furono battute per 111 milioni di sterline.
La confessione avviene in uno dei tanti video prodotti da Heni Talks (una piattaforma online di divulgazione dell’arte), durante il quale Hirst, 52 anni, visita il collega e amico Peter Blake (85) nel suo studio. I due girano per le stanze piene di oggetti stravaganti, ammirano le collezioni del maestro della British Pop Art, una parete piena di piccoli elefanti, una di cappelli, piccoli dipinti vittoriani, pannelli comprati in varie aste. Nella magica caverna dell’artista spunta fuori di tutto, anche un teca di farfalle. Blake dice a Hirst che sua moglie gli ha proibito di fare altre farfalle. «Pensa che ti stia copiando un po’ troppo» dice. E Hirst risponde: «Non si può certo avere un copyright sulle farfalle», aggiungendo che anche lui aveva preso l’idea per la sua serie delle farfalle dalla decorazione di un vassoio vittoriano. «Tutte le mie opere sono rubate, comunque», aggiunge Hirst. «Anche i pallini colorati. Sto pensando se li ho rubati da Larry Poons o da qualcun altro».
Certo, niente è originale, ribatte Peter Blake, e Hirst prosegue ricordando che gli hanno insegnato a rubare proprio al Goldsmiths College, l’accademia d’arte più prestigiosa di Londra. Fu proprio l’allora direttore Sir Michael Craig-Martin, ora 76enne, tra gli artisti più influenti degli ultimi decenni, a dare il consiglio: «Non prendere in prestito le idee, rubale», diceva. Anche Sir Michael non era originale. La frase è stata attribuita a così tante persone, che è difficile risalire a chi davvero l’abbia detta per primo.
Hirst comunque la chiosa così: «Al Goldsmith mi sono reso conto che non devi essere originale». Un insegnamento di cui pare abbia fatto tesoro. L’ultima accusa di plagio risale alla scorsa Biennale dell’Arte di Venezia quando, dopo la presentazione di Treasures from the Wreck of the Unbelievable, lo scultore inglese Jason de Caires Taylor, 43 anni, ha affermato che c’erano «sorprendenti somiglianze» con le sue installazioni marine.
Nel 2001 Hirst fece una donazione a una charity e pagò un risarcimento di cui non è mai stato rivelato l’importo al designer Norman Emms per aver copiato per la scultura Hymn un suo giocattolo di plastica del valore di 14,99 sterline. Nel 2003 è lo squalo in formaldeide a finire nel mirino, quando tal Eddie Saunders, un elettricista-artista di East London sostiene di vedere molte analogie con un simile squalo esposto nella vetrina del suo negozio.
Hirst è stato portato in tribunale a New York dalla canadese Colleen Wolstenholme, perché le avrebbe rubato l’idea di usare pillole antidepressive e scatole farmaceutiche, che lei utilizza per fare braccialetti, orecchini, collane e altre cose fin dal 1996. E l’artista John LeKay sostiene di aver fatto teschi ricoperti di diamanti già prima dell’ex amico Damien. Non è tutto. Nel 2010 «The Stuckists», un gruppo che fa campagna contro l’arte concettuale e in favore dell’estetica tradizionale, ha stilato una lista di 15 opere di Hirst che secondo loro sono state «ispirate» da altri. Tra queste i suddetti armadietti di medicine e le pecore crocifisse.
Per il momento non sono segnalate accuse per la mucca tagliata a metà. Ma, dopo l’articolo del Times di ieri che riporta tutta la storia, non è detto che qualche macellaio dell’Essex non si faccia avanti.