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 2018  aprile 25 Mercoledì calendario

Teheran, è l’arsenale missilistico l’arma dell’egemonia in Medio Oriente

L’ultima minaccia è arrivata la scorsa settimana dal generale Amir Ali Hajizadeh, il comandante delle Forze aerospaziali dei Pasdaran. «Attenti – ha avvertito – perché le vostre basi sono nel nostro mirino». L’avvertimento era rivolto all’aviazione israeliana e alle installazioni militari Usa nel Golfo. E il mirino è quello dei missili sviluppati negli ultimi trent’anni che, secondo l’alto ufficiale, hanno «un margine di errore di soli otto metri». Non è proprio così ma l’arsenale missilistico iraniano, per quanto basato sulla tecnologia dei vecchi Scud, resta una formidabile arma di pressione, che Teheran adopera per estendere la propria influenza sul Medio Oriente mettendo sulla difensiva i rivali strategici: i Paesi sunniti, Israele e gli Stati Uniti presenti con le proprie basi.
Il programma missilistico è stato lanciato poco dopo la rivoluzione del 1979. Sotto embargo da parte degli ex alleati occidentali, Teheran resta nel giro di pochi anni quasi senza aviazione, con i jet a terra per mancanza di pezzi di ricambio. La guerra con l’Iraq di Saddam Hussein è durissima. Gli iraniani si rivolgono allora alla Libia e ottengono i primi Scud nel 1984, subito lanciati contro Baghdad. Dalla Siria e dalla Corea del Nord arrivano poi i più avanzati Scud B e Scud C, ribattezzati Shahab-1 e Shahab-2. Hanno una gittata attorno ai 500 chilometri. Il primo missile indigeno è il Ghadr-1, basato sul nordcoreano Nodong, con un raggio di azione di 1600 chilometri e una testata di 750 chili di esplosivo.
Questi ordigni hanno il limite di essere a combustibile liquido: devono essere riforniti subito prima del lancio e quindi sono poco reattivi. Per questo dal 2003, con l’avvento di Mahmoud Ahmadinejad al potere, l’Iran si lancia nello sviluppo di un missile a combustibile solido, costruito per intero nel Paese e con una gittata fino a 2000 chilometri, in grado di colpire anche Israele. È il Sajjil-2. L’ultimo test, nel 2011, ha completato la fase di sviluppo ma il missile non è ancora operativo. A completare il dispositivo ci sono poi i missili a corto raggio Fateh, con una gittata fino a 250 chilometri.
Il numero di ordigni a medio raggio a disposizione degli ayatollah oscilla, a seconda delle stime, fra i 300 e i 500, ma solo un centinaio sarebbero in grado di colpire lo Stato ebraico. La precisione, secondo analisti occidentali consultati dall’Istituto Sipri, è bassa. Gli Shabab-1 hanno un margine di errore di 1 chilometro, mentre i Ghadr-1 e i Sajjil addirittura di 2,3 chilometri. Un nuovo progetto, l’Emad, punta ad aumentare la precisione con un sistema a guida interna. Il primo test, nell’ottobre del 2015, è stato dichiarato un successo ma lo sviluppo richiederà anni. L’Iran, a differenza della Corea del Nord, non dispone di missili intercontinentali (Icbm), con una gittata di almeno 5500 chilometri, anche se dispone di vettori, come il Safir, in grado di mettere in orbita un satellite.
La pericolosità dell’arsenale iraniano, senza lo sviluppo di testate atomiche, è quindi limitata. Per questo, quando i negoziati per l’accordo sul nucleare sono entrati nel vivo fra il 2013 e il 2014, l’allora sottosegretario di Stato Wendy Sherman, negoziatore capo, ha acconsentito ad ammorbidire la risoluzione Onu che vietava lo sviluppo di missili balistici. L’Iran così oggi può ribattere che i suoi missili «non sono progettati» per essere atomici, in quanto ha rinunciato al programma nucleare. Un cavillo diplomatico che Stati Uniti e Francia vogliono ora mettere in discussione.