La Stampa, 25 aprile 2018
Da 30 anni è nel Continente Nero la sorgente dei soldi di Vincent
Aveva stupito tutti quell’annuncio, lo scorso 19 aprile, alla fine dell’assemblea generale di Vivendi, controllata dal gruppo Bolloré. Lui, Vincent, il patron, 66 anni portati splendidamente, aveva deciso di cedere la presidenza del consiglio di sorveglianza al figlio Yannick, giovanotto dalle buone maniere, seduto in prima fila. Ma perché? Ritorna alla memoria anche la frase di un’intervista concessa da un altro dei figli di Vincent, Cyrille, a Les Echos. Lui gestisce proprio Bolloré Transport & Logistics, con il grosso delle attività in Africa. E, evocando le ultime difficoltà del gruppo, Cyrille (molto più duro di Yannick e molto più simile a Vincent) aveva detto a sorpresa: «Dobbiamo diventare più trasparenti e accettare di rimetterci in questione». Ma perché?
Ecco, lo stato di fermo imposto ieri a Vincent Bolloré potrebbe fornire delle risposte a questi perché. Forse lui si aspettava tutto questo patatrac sulla «campagna d’Africa» che il gruppo sta conducendo da una trentina d’anni. E così avrebbe preso le distanze dalla presidenza di Vivendi. E per la stessa ragione Cyrille si sarebbe abbandonato a quell’inspiegabile mea culpa. Ma cosa fanno i Bolloré in Africa? È con le attività nel continente, non così glamour come le tv o gli operatori telefonici, che Vincent Bolloré ha fatto fortuna. Si tratta di piantagioni, ferrovie e soprattutto di gestione dei porti e dei centri logistici annessi, da dove partono le materie prime dirette di tutto il mondo. «Se il gruppo Bolloré si sviluppa in Africa, è perché prende dei rischi», aveva detto Vincent, in una delle sue rare interviste, a Le Monde, nel 2015. Sì, più di due miliardi di euro investiti negli ultimi otto anni. Ma in Africa, oltre a osare, bisogna contare su amici influenti.
Nel novembre 2010 Alpha Condé venne eletto presidente della Guinea, nelle prime elezioni dopo 52 anni di regime autoritario. Condé era diventato amico di Vincent Bolloré durante il suo lungo esilio a Parigi, dove vanno ancora volentieri a cena da Laurent, il ristorante stellato su avenue Gabriel, ogni volta che il presidente è di passaggio. Nel 2008 la Guinea aveva concesso per 25 anni la gestione del terminal container di Conakry alla Getma, filiale di Necotrans, altro gruppo francese, a lungo rivale nel settore in Africa di Bolloré. Ma Condé, dal marzo 2011, decise di rompere quel contratto e di passare la concessione al gruppo Bolloré. Il presidente ha poi detto ai giornalisti di Le Monde : «Vincent è un amico. Io privilegio gli amici. E allora, che c’è di male?». Quel brutto episodio fu l’inizio della fine per Necotrans, che era stata fondata negli Anni Ottanta da Richard Talbot, imprenditore aggressivo ed entusiasta, già allora malato (è morto nel 2013). Necotrans è poi fallita e Bolloré nell’estate 2017 ne ha recuperato una grossa parte delle attività per pochi milioni di euro. Sophie Talbot, figlia di Richard, fino a pochi anni fa tra le persone più ricche di Francia, vive in un monolocale nella periferia di Parigi e si dibatte coi debiti ereditati dalla liquidazione del gruppo familiare.
Nel Togo Bolloré può contare su un altro amico, Faure Gnassingbé, eletto presidente per tre volte di seguito dal 2005 in poi (e figlio di Gnassingbé Eyadema, rimasto in carica per più di 37 anni). Nel 2009, poco prima della rielezione di Faure Gnassingbé, Bolloré ottenne la concessione per 35 anni per il terminal container del porto di Lomé. Le elezioni che si tennero a ruota sono nel mirino degli inquirenti francesi, perché Havas, la controllata del gruppo Bolloré, avrebbe finanziato la campagna del presidente. Come avrebbe fatto nella Guinea per Condé. Per tenersi buoni due vecchi amici.