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 2018  aprile 25 Mercoledì calendario

Nessuno sa perché

Alfie doveva morire in qualche minuto e invece non è morto. Alfie ha due anni e una misteriosa malattia neurodegenerativa. Il suo cervello, dicono all’ospedale di Liverpool, è completamente distrutto. Non ci sono segnali di vita né speranze di miglioramento: il metro della scienza ha compiuto le sue millimetriche misure. La legge, secondo l’interpretazione delle norme e il pronunciamento delle corti, ha stabilito che non c’è niente da fare. L’essere di Alfie non è essere. Alle 21,17 di lunedì hanno staccato le macchine che tengono in vita Alfie, e Alfie si è tenuto in vita da solo, in braccio alla madre, per ore. Nessuno sa perché, ha detto il padre. In coda a una notte terribile, i medici hanno ritenuto morale restituire al bimbo l’aiuto dell’acqua e dell’ossigeno. C’era un film di Krzysztof Kieslowski in cui un uomo mandava il figlio a scuola attraverso il lago, rilevando al computer lo spessore del ghiaccio. Ma contro ogni evidenza matematica il ghiaccio si ruppe e il bambino morì. Da che l’uomo è uomo, arriva il giorno in cui il suo inconfutabile sapere, così in buona fede e così onusto di superbia, viene spazzato via dall’imponderabile. Anche in questi nostri tempi affidati alla computazione algoritmica, all’esattezza digitale, alla stupefacente progressione tecnologica, ogni certezza sprofonda nel mistero, a ricordarci che non esiste un metro per calcolare l’amore e la vita. E Alfie? «è impossibile prevedere quanto potrà vivere», ha detto uno scienziato. È così, e vale per tutti noi.