Corriere della Sera, 26 aprile 2018
Il bivio del Pd
Il tempo dell’«esploratore» Roberto Fico sta scadendo. Oggi il presidente della Camera torna al Colle per riferire a Sergio Mattarella lo stato di salute di una possibile maggioranza M5S-Pd. Ma i democratici non possono certo decidere con un «clic», senza riunire la loro direzione composta da ben 209 componenti. E, dunque, è altamente probabile che Fico abbia bisogno dei «supplementari» per tessere una tela più solida, capace di sostenere quanti, nel partito del Nazareno, ritengono che alla fine un esecutivo con i grillini sia l’unica via d’uscita.
L’incertezza sulla data della direzione del Pd – che oscilla tra lunedì 30 aprile e mercoledì 2 maggio – potrebbe però guastare i piani di Fico e, dunque, indurre il presidente Mattarella a concedere «supplementari» lunghi pur di assecondare i tempi necessari per far svolgere ordinatamente il dibattito interno ai dem. Va da sé, che i renziani, contrari all’accordo, remano contro l’anticipo della direzione.
Tra i 214 della direzione le posizioni oscillano tra 4 caselle: «Proviamo con il governo»; «Andiamo comunque a vedere le loro carte»; «Siamo contrari ma senza chiusure»; «Assolutamente contrari».
Tra i più aperturisti per un governo con i M5S, c’è con tutta la prudenza del caso anche il segretario reggente Maurizio Martina: «Abbiamo cercato di contribuire alla prima fase di questo lavoro... Guardo all’interesse generale e vedo come il Pd può contribuire dal suo 18 per cento». Da settimane, l’area di Michele Emiliano (Fronte dem) tifa per l’esecutivo con i grillini: «Dal reddito di inclusione alle pensioni minime, il Pd può trovare naturali convergenze con il M5S. Poi, certo, sarà necessario mettere in chiaro molte cose sulla politica internazionale e sull’Europa», dice Francesco Boccia anche a nome dei 13 compagni di corrente tra cui Dario Ginefra, Simone Valiante, Beppe Lumia, Piero Lacorazza. Si fa avanti senza imbarazzi anche il lettiano dell’area Orlando: «L’eventuale accordo va ancorato a un programma che preservi le buone cose fatte dal 2012», dice Marco Meloni.
La seconda opzione, al momento più gettonata in direzione, punta a «vedere le carte dei grillini»: la condividono Andrea Orlando, Anna Finocchiaro e Luigi Zanda. Anche Graziano Delrio e Lorenzo Guerini ritengono giusto non rifiutare il confronto. Converge pure Marianna Madia: «Nessuna chiusura, ma serve una verifica profonda dei punti programmatici». Dario Franceschini e Piero Fassino sono stati i primi ad aprire e Marina Sereni, anche lei di Area Dem, spiega: «Confronto su Europa, lavoro, crescita, povertà». Concorda Nicola Latorre: «La questione dirimente è l’Europa...».
Nel gruppone ci sono anche Cesare Damiano («Sì, ma dopo avviamo una consultazione tra i nostri iscritti»), Antonello Cracolici («Potremmo dare l’appoggio esterno»), Antonio Misiani («Vedere le carte senza dare per scontato l’esito»), Gero Grassi («Guardiamole e poi ragioniamo»), Giuseppe Lupo («Sì al dialogo, ma con prudenza»), Enza Bruno Bossio («Un conto è il dialogo, un conto è l’accordo»), Marco Miccoli («Comportiamoci come in passato, con Letta e Renzi che hanno aperto al centro destra») e Franco Mirabelli («In direzione decidere solo se andare a vedere le carte»).
Terza opzione: è più un no che un sì. Stefania Covello, ad esempio, spiega: «Se si trattasse del bene del Paese, il Pd potrebbe anche rinunciare a ricordare gli insulti ricevuti. Ma siamo sicuri che questo accordo sia possibile tra due partiti con dna così diverso?». Stefania Pezzopane: «Va ascoltato il capo dello Stato che chiede di esplorare questa strada. Purtroppo nei 5 anni passati i grillini ci hanno solo detto no». Emanuele Fiano: «Ascoltiamoli, se accettano punti del nostro programma...». Salvatore Margiotta: «Si ragiona con tutti ma la vedo difficile». Laura Garavini: «Sempre aperti al dialogo ma il governo con il M5S è impossibile».
Quarto blocco: «Assolutamente no». La prospettiva di un governo con i nemici storici ha aperto tra i renziani la prima, vera crisi sulla strategia: c’è chi farebbe il patto col diavolo per paura delle urne e chi non manderà mai giù gli insulti fatti ingoiare dai grillini. Matteo Renzi guida l’esercito dei contrari con Luca Lotti, Maria Elena Boschi, Matteo Orfini, Antonello Giacomelli, Silvia Fregolent, Alessia Rotta, Alessia Morani, Anna Ascani. «La loro idea di democrazia è diversa dalla nostra», motiva il suo no Fausto Raciti.
Ettore Rosato si mostra cauto: «O il Pd è unito oppure non si fa nessun passo». E l’ex sindaco di Lampedusa, Giusi Nicolini, si risente: «Il M5S ha costruito il suo successo sulla demolizione del Pd...».