la Repubblica, 25 aprile 2018
Mettere gli alveari sui tetti delle città
C ambiare il mondo, un’ape alla volta. Una missione certosina, proprio come il lavoro instancabile di questi insetti. E Leigh-Kathryn Bonner, 25 anni, lo sa bene. La sua famiglia si occupa di apicoltura da quattro generazioni e lei è cresciuta in un ranch del North Carolina, a Farmville, tra piantagioni di tabacco, mucche e alveari. «Ma non ero sicura di voler continuare il lavoro dei miei», ci racconta al telefono da Durham, dove vive oggi. «Poi, mentre studiavo a Barcellona, mi sono resa conto che il declino delle api non era solo un problema americano, ma di tutto il mondo, e allora ho avuto l’idea».
L’idea si chiama Bee Downtown ed è diventata realtà nel 2015, quando Leigh-Kathryn aveva appena finito l’università laureandosi in Studi Internazionali. La startup propone alle multinazionali di ospitare qualche alveare sul tetto dei loro quartier generali, in mezzo alla città, non solo per aiutare a rinfoltire la popolazione di questi insetti, ma anche per offrire ai propri impiegati l’esperienza di trasformarsi in apicoltori per qualche ora, indossare la tuta con scafandro, andare a conoscere l’ape regina e, naturalmente, portarsi a casa un po’ di miele genuino. Le arnie rimangono di proprietà di Bee Downtown che si occupa della manutenzione e della cura degli insetti.
«A volte quando spiego il nostro progetto, manager e Ceo si innervosiscono, temono sciami di api che invadono gli uffici dando la caccia agli impiegati. In realtà l’ape mellifera è molto tranquilla, non punge mai, se non davvero costretta ma quando sottolineo l’importanza del ruolo delle api, insetti impollinatori dai quali dipendono i tre quarti delle produzioni agricole mondiali, quindi il cibo che mettiamo in tavola, tutti si convincono. E le arnie diventano piccoli tesori. Anche perché noi offriamo all’azienda statistiche precise sul positivo impatto ambientale che i loro alveari stanno creando nell’ecosistema».
Ogni arnia può contenere 50.000 insetti. Per adesso Bonner compra le api dallo zio, maestro apicoltore («Mi ha insegnato tutto»), ma entro breve l’azienda sarà autosufficiente: «Usiamo solo api italiane, sono le migliori al mondo, molto docili e grandi produttrici di miele», sottolinea con passione.
A oggi Bee Downtown ha piazzato 160 apiari tra North Carolina e Georgia (tra gli altri, negli uffici di Ibm, Delta e Burt’s Bees). Bonner è stata inserita da Inc.com nella lista delle stelle nascenti dell’imprenditoria under 30 e per il 2018 prevede un fatturato di un milione di dollari.
Ma l’inizio non è stato facile. «Ho chiesto un prestito ai miei e loro hanno preteso una presentazione del progetto con tanto di proiezioni in Power Point – ricorda la giovane imprenditrice – Li ho convinti e mi hanno prestato 15.000 dollari. Mi hanno dato un anno di tempo. Se non fossi riuscita a fare profitto avrei dovuto cercarmi un lavoro». Dodici mesi dopo Leigh-Kathryn aveva piazzato già 24 alveari in diciotto aziende e aveva assunto il suo primo aiutante.
«La compagnia è piccola, io rivesto tanti ruoli. A volte mi ritrovavo a spostare alveari in minigonna e tacchi. E così uno dei miei collaboratori mi ha regalato una tuta di protezione rosa confetto, che adesso indosso sempre. Del resto nell’alveare ci sono solo donne, no? Il rosa è perfetto».
Entrare in un mondo dominato dai maschi, per lo più di una certa età, le ha procurato qualche sguardo accondiscendente ma, in genere, ha avuto una buona accoglienza, giura: «Quando parlo della nostra missione mi stanno a sentire, sono interessati. Questo mi fa ben sperare per tutte le giovani imprenditrici alle prime armi».
L’apicoltura urbana si è diffusa capillarmente negli ultimi anni (il primo progetto italiano, a Torino, è nato nel 2010) e Bonner prevede un boom: «Queste aziende con i loro alveari stanno cambiando il mondo. Le api di città sono più sane di quelle di campagna perché hanno una dieta più variegata e bilanciata. Basta poco per fare del bene all’ambiente e a noi stessi».