la Repubblica, 25 aprile 2018
L’ultimo bambino di Pompei
POMPEI Una scoperta eccezionale fatta nel Parco archeologico di Pompei, in un vano del complesso delle Terme centrali mai aperte al pubblico: lo scheletro intatto di un bambino, tra i 7 e gli 8 anni, sepolto lì dal 79 d. C. quando il Vesuvio esplose il una colonna di pomice, cenere e gas alta oltre 25 chilometri. Il piccolo corse a rifugiarsi in quella stanzetta pensando di salvarsi dalla pioggia di lapilli che per prima cominciò a coprire la città, si raggomitolò contro il muro e aspettò che finisse. Sembrava fatta, perché la struttura resse, non crollò sotto il peso della pomice. Ma dopo qualche minuto arrivò la colata di materiale vulcanico e gas, l’aria bollente lo soffocò all’istante. Poi questo “flusso piroclastico” sommerse le Terme, a cui mancavano solo gli invasi per l’acqua prima di essere inaugurate, s’indurì e le pietrificò in un guscio solido dal quale sarebbero riemerse secoli dopo. Anche il bimbo rimase dentro. Fino ad ora. Da 20 anni, infatti, non veniva alla luce uno scheletro umano intero e da 50 anni, a memoria degli archeologi, quello di un bambino.
In quell’angolo delle Terme, il cui impianto è ora tornato all’antico splendore, all’inizio dello scorso febbraio gli addetti ai lavori decidono di fare un test con il videoendoscopio, solo un controllo dei pieni e dei vuoti del basamento, durante la pulitura del terreno, mentre spostavano le zolle per livellarlo. Lo strumento rileva qualcosa di anomalo. Gli archeologi intervengono. Basta scavare dieci centimetri e lo scheletro riaffiora.
«Si tratta di un ritrovamento straordinario», spiega Massimo Osanna, direttore generale del Parco Archeologico di Pompei, «in un’area che pensavamo già completamente scavata nell’800. Tra l’altro c’è una cosa molto particolare che rende questo ritrovamento unico. Nella stratigrafia dell’eruzione ci sono prima i lapilli e poi il materiale vulcanico e il gas. Qui sembra tutto inverso. Questo ci dice che l’ambiente era chiuso, i lapilli non sfondarono la copertura ma il flusso piroclastico entrò dalle finestre, com’è successo ad esempio a Ercolano, e sigillò tutto indurendosi. Grazie ai nuovi strumenti hi-tech, all’interno di uno stretto lembo non scavato è venuto fuori l’ultimo bambino di Pompei».
Lo scheletro è stato tolto dal terreno ieri, ed è stato portato nel Laboratorio di ricerche applicate del Parco archeologico, dove sarà sottoposto all’analisi del Dna per determinare il sesso, eventuali malattie o malformazioni e cercare di sapere con esattezza l’età. «In realtà dobbiamo ancora valutare quante e quali siano state le interferenze ottocentesche nella sepoltura e nella giacitura», continua Osanna. «Quello che posso dire ad una prima analisi del profilo biologico dell’individuo è che è deceduto in una età fra i sette e gli otto anni. Eventuali patologie poi verranno scoperte in laboratorio. È la prima volta che le indagini antropologiche vengono condotte in maniera sistematica fin dal ritrovamento delle ossa. Nei cantieri abbiamo tutte le figure professionali, è un modello di approccio scientifico: archeologi, ingegneri, architetti, antropologi, restauratori, geotecnici, paleobotanici, vulcanologi. Un cantiere complesso con un approccio interdisciplinare e altamente tecnologizzato, la vera novità di Pompei».
Un lavoro che, come spiega l’antropologa Valeria Amoretti, ha degli step precisi: «Per “fissare” lo scavo nel modo in cui è stato trovato, e prima di spostare le ossa, sono stati fatti esami tecnici avanzati. Un rilievo 3D dello stato attuale delle cose, poi abbiamo rimosso la parte superiore e vedremo se sono conservate le connessioni anatomiche a livello del torace e procederemo ad un ulteriore rilievo 3D. Se poi si deciderà di fare un calco si svilupperà un modello 3D completo».
E come tutti i rinvenimenti fatti a Pompei anche questa volta non manca un alone di mistero. «Dobbiamo capire che cosa è successo esattamente in questo posto durante gli scavi fatti intorno al 1870», continua Osanna, «probabilmente la vittima era stata intercettata, perché abbiamo trovato le gambe accostate al bacino, ma poi non scavata. Dobbiamo scoprire se ci sono tracce di manomissione e quindi dovremo ricostruire cosa sia successo: se gli operai di allora erano scaramantici o troppo rispettosi e non hanno voluto scavare, lasciandolo oggi alle nostre tecnologie, o se invece è avvenuto qualcos’altro».
Altri dati invece sono certi. Lo scheletro è uno solo, appoggiato sul piano di calpestio antico, quello del 79 d. C., il bimbo è morto allora, soffocato dal flusso cineritico. È rimasto nella stessa posizione sicuramente fino al 1870 quando presero il via i primi scavi allargati dell’area. «Tutte cose che gli strumenti di laboratorio confermeranno», ribadisce Alberta Martellone, responsabile del Laboratorio di ricerche applicate di Pompei e archeologa referente delle Terme centrali. «Una volta messe a nudo e pulite le ossa, con una enorme attenzione perché sono friabilissime, verranno analizzate con il laserscanner per poter collocare esattamente la sepoltura all’interno delle Terme. Poi si procederà alla rimodellazione dei volumi e alla ricostruzione virtuale che ormai ha preso il posto dei calchi». Verrà fuori un bambino reale di quel tempo al quale il vulcano non ha dato scampo.