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 2018  aprile 25 Mercoledì calendario

A Roma un blocco ogni 15 giorni e una giungla di 15 sigle sindacali

ROMA Uno sciopero ogni due settimane, ma in certi periodi dell’anno anche più spesso. Un labirinto di quindici sigle sindacali, magari con pochi iscritti, ma con un effetto frantumazione che sufficiente a compromettere il servizio di una intera linea della metropolitana. Sindacati mini, disagi per i romani enormi. E un film che si potrebbe intitolare «Any given friday» per citare Al Pacino, o più efficacemente «Ogni maledetto venerdì», pensando a come fu tradotto il titolo della pellicola sul football americano.
TITANIC
Eccola, in sintesi, la storia triste dell’Atac, a Roma. Sì, è proprio l’azienda con 11.400 dipendenti, bus che si fermano spesso al lato della strada perché sono in avaria, procedura di concordato preventivo in corso per evitare la catastrofe vista la montagna di 1,4 miliardi di euro di debiti. Certo, la parte più consistente della responsabilità dell’apocalisse di Atac non pesa (solo) sui sindacati, ma il rituale logoro e stantio degli scioperi del venerdì richiama l’immagine di tante orchestrine che continuano a suonare Maracaibo sul solito Titanic che affonda. Nel 2018, in appena quattro mesi, a Roma il trasporto pubblico ha già contato 3 scioperi in Atac, 3 in Cotral, 3 in Tpl. Nel 2017 sono stati addirittura 18 gli scioperi nel trasporto pubblico: se si tiene conto delle limitazioni previste dalla legge in alcuni periodi dell’anno (Natale, Pasqua, estate, scadenze elettorali) ecco che si arriva alla devastante statistica di uno sciopero ogni due settimane (o forse sarebbe meglio dire un venerdì sì e uno no).
DEDALO
Nel lotto delle quindici sigle sindacali c’è di tutto: da Cgil, Cisl e Uil, a sigle nuove come Cambia Menti M410, che ha come frontman (anzi frontwoman) Micaela Quintavalle che qualche mese si scandalizzò perché in seguito all’ennesimo sciopero le arrivarono sui social decine di proteste di cittadini romani appiedati e infuriati. E poi Cel, Cub, Usb, Fast, Utl, Sul e via di questo passo. La frammentazione sindacale ha un doppio effetto scivoloso: per chi dirige un’azienda, anche la migliore del mondo, è difficile raggiungere accordi costruttivi, perché poi ci sarà sempre una sigla che decide di andare per conto proprio; e conta poco se il sindacato che proclama lo sciopero ha magari solo 100 iscritti, perché poi può aderire chi vuole. Se per i bus venti autisti che incrociano le braccia hanno un effetto limitato, per quanto fastidioso, nella linee A e B della metropolitana venti macchinisti sono sufficienti a sospendere l’intero servizio, con decine di migliaia di pendolari e turisti bloccati. Nella lunga saga di Atac ci sono state anche storie al limite della triste comicità, come quando nel 2016 un sindacalista dell’Ugl proclamò uno sciopero dopo le 20.30, in coincidenza con la partita dell’Italia agli Europei, guarda caso qualche giorno prima l’ad di allora dell’Atac era intervenuto per colpire l’abuso dei permessi sindacali. Morale: in altri settori un mini sindacato ha effetti mini, ad esempio ad Ama, azienda dei rifiuti, la dimensione del danno causato è direttamente proporzionale alla rappresentatività del sindacato; nel trasporto pubblico romano (ma casi simili per la verità sono avvenuti anche a Milano) basta poco per mandare in tilt il diritto a muoversi di centinaia di migliaia di persone. Le ragioni degli scioperi (istituto, sia chiaro, nobile, ma svilito dall’uso sconsiderato) sono molteplici: da chi protesta per una liberalizzazione del settore che a Roma non c’è alla rivolta contro la decisione di fare lavorare un po’ di più i macchinisti.