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 2018  aprile 25 Mercoledì calendario

Michael Putland: «Da Bowie a Vasco nel mio obiettivo c’è il grande rock»

Michael Putland è uno dei grandi fotografi della storia del rock.
Ed è anche un uomo fortunato. Lo si capisce sfogliando le pagine di The music I saw, il libro appena pubblicato in Italia da LullaBit, con la collaborazione di Ono Arte Contemporanea. «Sfogliando il libro – dice – mi sono chiesto non solo “come ho fatto?”, ma anche “dove ho trovato il tempo?”».
Ha senso un libro di foto nell’era di Instagram?
«Non saprei, non sono particolarmente digitale, non uso i social media e non ho più 18 anni.
Un libro come questo è qualcosa che ho sempre voluto fare, me lo hanno chiesto lasciandomi completa libertà. È venuto fuori un atto d’amore, arricchito da un po’ di ego, ovviamente, una sorta di mio diario ufficiale».
Soprattutto se si tratta di un diario personale, deve essere stato difficile selezionare le foto da pubblicare.
«Molto. Fosse stato per me avrei fatto altri due o tre libri con il resto del materiale. Alcune foto le amo perché ricordo il momento in cui le ho scattate, altre perché hanno qualcosa di magico, tutte perché raccontano una serie di bellissime storie».
Anche da giovanissimo pensava di fare il fotografo?
«Quando ero piccolo avevo due amori, ascoltare musica e scattare foto. Quindi le due cose si sono fuse naturalmente: andavo a sentire gli Yardbirds o gli Who al pub dietro casa. Ho iniziato così a portare con me la macchina fotografica. Ho preso coraggio e ho iniziato a scattare».
Ha stretto amicizia con qualcuno degli artisti con i quali ha lavorato?
«No, ho sempre mantenuto una certa distanza. Con alcuni, comunque, ho avuto un rapporto molto stretto: con George Michael, con il grande Harry Nilsson, o con Rick Wakeman, che è cresciuto a pochi portoni di distanza dal mio. Ma non ho mai adottato uno stile di vita rock’n’roll: niente droghe, niente eccessi, non sono mai stato parte di tutto questo».
Quindi il suo ruolo è stato davvero quello di un osservatore. E cosa cercava di vedere attraverso l’obbiettivo?
«Non è facile spiegarlo: quello che cerco di tirare fuori da una foto ha poco a che fare con la fotografia, provo a catturare la persona per quel che è non per quello che appare, il che, visto che parliamo di immagini, è obiettivamente singolare. Non credo di essere tecnicamente il migliore, ma so di essere capace di mettere a proprio agio l’artista, mettendolo nella condizione di mostrare l’anima.
Ecco, questo penso sia la parte migliore di me, molto più della tecnica. Un mio amico, un artista molto rispettato, ha visto il libro e mi ha detto che le composizioni delle immagini erano molto belle, giuste. Ci sono regole da seguire e c’è un bilanciamento quando scatti. Ma la verità è che nel mio lavoro non c’è alcuna composizione, tutto è naturale. Lui parlava di uno scatto di Robert Smith e dei Cure, la composizione è bella, sembra che tutte le regole siano state seguite. Ma io non ho seguito alcuna regola, se non la mia intuizione, e attraverso quella cerco di catturare quello che normalmente non si vede».
È vero soprattutto in una foto, quella di Bob Marley, Mick Jagger e Peter Tosh.
È una fotografia che racconta qualcosa che la musica non dice…
«Sì, capisco, è una foto che spiega una relazione che va al di là della musica».
Nel libro ci sono tutti: gli Stones, Bowie, Bob Dylan, Miles Davis… e c’è anche Vasco Rossi…
«È un artista fantastico. Sono stato al concerto di Modena, dove lui cantava davanti a 250 mila persone, il concerto più grande che abbia mai fotografato e il palco era il più grande che abbia mai visto.
Volare sopra la folla con lui in un elicottero è stato uno dei momenti più incredibili della mia carriera».
In un mondo in cui dominano gli smartphone qual è il futuro di un fotografo rock?
«Non ho una risposta, davvero.
So che però adesso è tutto più difficile, gli artisti sono super controllati da uffici stampa, agenti, pr. Non c’è più l’accesso a loro.
Ma d’altro canto è vero che la tecnologia permette cose fantastiche, puoi fotografare nel buio con uno smartphone e ottenere una bella foto, anche se tecnicamente non hai alcuna preparazione. Certo, io penso che le foto oggi sembrino tutte uguali, o forse sono io che non capisco più niente. Per il resto quello che conta è sempre l’occhio del fotografo, lo scatto al momento giusto, e l’amore per la musica».