la Repubblica, 25 aprile 2018
E ora per il raider bretone scatta l’accerchiamento italiano
MILANO La campagna d’Italia di “Attila”-Bolloré (copyright di Marina Berlusconi) arriva al redde rationem molto prima del previsto. «I nostri investimenti nel Belpaese? È alla fine della fiera che si contano gli animali», aveva detto sibillino il raider bretone sei giorni fa all’assemblea di Vivendi. La fiera, ora che è in stato di fermo a Parigi, è finita in anticipo. E l’avventura tricolore di “Bollò” – fino a poco tempo fa una marcia trionfale – rischia di trasformarsi in una Caporetto.
Le leggi della finanza, Bolloré lo sa perché è stato il primo a usarle sulla pelle degli altri, sono impietose come quelle della giungla: gli avversari in difficoltà vanno affondati. E ora che nei guai c’è lui, i nemici tricolori – in questi anni ne ha messi assieme una collezione – sono pronti ad affondare il colpo: Elliott l’ha già messo sotto scacco in Telecom, Mediaset è riuscita con la mossa del cavallo (leggi l’accordo con Sky) a sfuggire al suo assedio. E l’onda lunga dei guai giudiziari rischia di trasformarsi in uno tsunami se arriverà a travolgere (come possibile) i fragili equilibri azionari in Mediobanca – dove Bolloré ha un ruolo chiave nell’azionariato – e Generali.
La bufera dell’inchiesta parigina ha, vista dall’Italia, un valore segnaletico chiaro: dimostra che sul fronte domestico il raider transalpino ha le spalle scoperte. Il vecchio mentore politico Nicolas Sarkozy è stato travolto dalla Lybian-connection. Il neo-presidente Emmanuel Macron, pur accreditato di un buon rapporto con il figlio Yannick, non si è certo dannato l’anima per difenderlo dall’accerchiamento del governo italiano in Telecom.
Qualcuno prevedeva la discesa in campo del potentissimo capitalismo di relazioni transalpino a fianco del connazionale. Orange, in fondo, non ha mai fatto mistero di guardare a Telecom e Axa, si dice in Borsa, è da sempre interessata a Generali.
L’intervento dei giudici ha però sparigliato le carte e rende più difficile – almeno esteticamente – il soccorso “sciovinista” al raider bretone. Bolloré, insomma, deve ballare da solo. E a dettare il ritmo della musica in Italia, in questo momento, sono i suoi “nemici”. Sul fronte Mediaset, dove sembrava guidare il gioco, la situazione si è ribaltata. Il Biscione ha messo in sicurezza le pay-tv grazie a Sky e ha passato a lui il cerino del contenzioso, chiedendogli 3 miliardi di danni. L’offensiva di Elliott, spalleggiato via Cdp dai palazzi romani, ha messo nell’angolo Bolloré anche in Tim. Il braccio di ferro non è chiuso, Vivendi – incoraggiata dalla vittoria nel primo round legale – non è del tutto fuori gioco. Ma la strada è in salita.
Il vero timore di Bolloré è che il terremoto italiano tracimi in Mediobanca e Generali. «Ci hanno criticato per l’ingresso in Piazzetta Cuccia ma alla fine abbiamo guadagnato e siamo stati garanti della stabilità del gruppo», ha detto. I tempi però sono cambiati. Nell’azionariato Mediobanca convive a fatica con Berlusconi e Mediolanum. E a valle dell’ex-salotto buono è in fermento l’azionariato Generali.
Le voci di una scalata francese al Leone (regista, ovviamente, Bolloré) hanno mandato in fibrillazione lo scorso anno l’estabilishment tricolore.
Caltagirone e Benetton hanno arrotondato le loro quote in chiave anti-Parigi, benedetti dal management di Mediobanca (socia di Trieste al 13%) che ha ribadito ieri la sua indipendenza. Leonardo Del Vecchio e la famiglia Drago-Boroli (De Agostini) sono pronti a schierare le loro partecipazioni contro ipotetici appetiti transalpini. E se c’è un momento per chiudere la partita Generali, visti i guai di Bolloré, è questo.