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 2018  aprile 24 Martedì calendario

Ferruccio Soleri: «Così a 88 anni dopo 2283 recite dico addio a Arlecchino»

MILANO Non ci ha pensato molto, così, almeno, racconta. «Ma non è stata una decisione travagliata. È che il tempo lavora e purtroppo non avrei potuto più stare in scena come una volta. Mi sono detto che a 88 anni potevo chiudere».
Ferruccio Soleri lascia la maschera di Arlecchino.
L’attore che dal 1963 è, con simpatia, partecipazione e nostro divertimento, il Servitore di due padroni goldoniano, dopo 2283 recite esce dal presente ed entra nella Storia.
Sì, perché da un lato c’è lo spettacolo-capolavoro del Piccolo Teatro di Milano, in scena dall’apertura, dal ’47, quasi 3mila rappresentazioni in 40 paesi del mondo (esattamente in più di 70 anni sono 2932 recite) e per oltre due milioni di spettatori: il manifesto della poetica teatrale di Giorgio Strehler che nella commedia goldoniana aveva visto il racconto allegro e epico della vita del teatro, tra fame e poesia, finzione e verità, burle e malinconie e che gli anni, l’assenza del regista scomparso nel ’97, la stratificazione storica hanno appena indebolito, ma non stravolto.
E dall’altro Ferruccio Soleri, il solo attore italiano che si ricordi che abbia recitato un unico personaggio (a parte qualche altro sporadico ruolo), con tanto di attestato del Guinness dei primati per “la più lunga performance di teatro nello stesso ruolo”: «Quando nel ’63 cominciai a vestire la maschera goldoniana in scena la trattai con audacia, slancio acrobatico», racconta, un Arlecchino più ricco e trascinante del suo predecessore, e che ancora fino all’anno scorso, perdendo la sua età anagrafica in scena, interpretava ancora con capriole e salti. «Ma ormai sempre meno. Cominciavo a sentirmi più debole, rischiavo di cambiare la fisionomia della maschera. Dunque, largo ai giovani», è il salomonico commento di Soleri: da oggi al Piccolo Teatro Grassi, Arlecchino torna in scena, dopo un’anteprima a Cascina e prima di una minitournée a Roma, e a interpretarlo sarà Enrico Bonavera. «Lo presentai io a Strehler e a lui piacque subito. È stato il mio sostituto per anni, ma no, non direi che è un mio allievo: semplicemente lui mi ha guardato mentre facevo lo spettacolo, proprio come avevo fatto io quando ero il “vice” di Marcello Moretti, il primo Arlecchino del Piccolo.
Io credo che Enrico darà la sua interpretazione come io ho dato la mia, non si risparmierà, sarà un vero erede. Io gli lascio il ruolo che mi ha reso famoso, che mi ha reso orgoglioso di fronte ai miei figli e nipoti, il personaggio che mi ha riempito di soddisfazioni».
E di ricordi. «Non dimenticherò l’emozione di quella volta a Londra che la Regina interruppe un pranzo per congratularsi con noi, o quando Laurence Olivier, sempre a Londra nel ’67, mi confessò: “Stasera avrei voluto essere te”.
O ancora quando a New York tra i grandi divi di Hollywood, venne in camerino Paul Newman che si era commosso e divertito, “sei il più bravo”, mi disse».
Adesso Soleri terrà come ricordo la maschera nera in cuoio di Donato Sartori che è sua, e un solo costume variopinto, lo stesso che anni fa aveva utilizzato per un suo recital su Arlecchino, perché quello vero del “servitore” appartiene al Piccolo.
Quanto allo spettacolo, negli anni, è diventato una palestra per gli attori, con gli allievi della Scuola del Piccolo che di volta in volta ne entrano a far parte, mescolando “vecchi” e “nuovi” interpreti in una ideale continuità: oltre a Bonavera, Giorgio Bongiovanni, Francesco Cordella, Ugo Fiore, Alessandra Gigli, Stefano Guizzi, Pia Lanciotti, Sergio Leone, Lucia Marinsalta, Fabrizio Martorelli, Tommaso Minniti, Stefano Onofri, Annamaria Rossano e i suonatori Gianni Bobbio, Leonardo Cipriani, Matteo Fagiani, Francesco Mazzoleni, Celio Regoli. Il 13 maggio, per l’ultima replica milanese, ci sarà una festa, un tributo a Soleri, alla sua storia.
«Una sorpresa, anche per me».