Corriere della Sera, 24 aprile 2018
«Mi chiamano Dio, so perdonare». Un labirinto tra realtà e finzione. I luoghi e le persone. Il leader di Forza Italia fa sapere che non vedrà il film di Sorrentino
Roma Se Andreotti era Il divo, Berlusconi è Dio. Così il cinema di Paolo Sorrentino passa, nei suoi ritratti sulfurei, da un politico all’altro. «Mi chiamano Dio perché so perdonare», dice Toni Servillo in una scena del film. E poi, c’è tutta la distanza siderale da Veronica Lario, quando era ancora sua moglie: «Mi vede come l’origine di tutti i mali; dice che lei legge Hemingway e non permette ai nipoti di vedere la tv, non sembra un paradosso?». È uno dei rari momenti in cui non appare col sorriso prefabbricato con tutti i denti all’infuori come un’artiglieria.
Si dissolve la segretezza con cui Paolo Sorrentino aveva finora custodito Loro, il film sull’ex premier («mi interessa il racconto dell’uomo e in modo marginale il politico»), ma anche su un periodo storico «amorale, decadente ma straordinariamente vitale».
Di Hemingway, Sorrentino torna a servirsi per una sintesi: «In Fiesta scrive: non c’è nessuno che vive la propria vita sino in fondo, eccetto i toreri. Ecco, parafrasando, forse l’immagine più compendiaria che si può avere di Silvio Berlusconi è questa: un torero». A quanto si apprende da ambienti vicini a Forza Italia, l’ex Cavaliere non ha intenzione di vedere Loro.
Il film, pieno di frasi destinate a diventare cult, è un circo mica tanto immaginario dove appaiono quattro animali veri: il cameo di un cammello, di un rinoceronte, di una pecora e di un topo al centro di Roma. Ecco la villa in Sardegna, le ragazze disponibili in piscina che sognano un futuro migliore, «ce n’è una che si fa chiamare la francese ma è di Pizzo Calabro» dice una. E poi la corte dei miracoli: «Lui» e «Loro». Un talent scout ispirato a Lele Mora (l’attore è Roberto De Francesco) a un casting liquida una giovane così: «Ma tu ridi sempre? Dileguati».
All’imprenditore barese Gianni Tarantini somiglia Riccardo Scamarcio, che recita con forte accento della sua Puglia: ha un’illuminazione quando vede il tatuaggio dell’ex premier sul sedere di una ragazza: «Me ne vado, voglio conquistare Roma». Inizi difficili, la segretaria del Cavaliere lo gela: «Domani vedrà un miliardo di persone, tu non fai parte di quel miliardo».
C’è il disprezzo di Veronica quando il marito travestito da odalisca le porta un diamante per il compleanno: «Non mi hai fatto ridere neanche un po’. Preferivo le pantofole o la coperta che mi regalavi quando hai saputo che ero freddolosa». Ma c’è anche la malinconia di Veronica, quando cerca di riacciuffare l’incanto del loro fidanzamento: «Perché non ce ne andiamo a piedi in Cambogia?». E lui risfodera il suo inquietante sorriso, è già altrove. Si cammina in un labirinto scivoloso, bisogna districarsi fra personaggi di finzione (la «musa» Kasia Smutniak con farfallina e piercing: «Lui vuole divertirsi, per deprimersi ha già la moglie»); quelli liberamente ispirati (Sandro Bondi di Fabrizio Bentivoglio con chierica e voce soave, poeta e puttaniere, cosa che Bondi non era); e personaggi reali, chiamati coi loro veri nomi: oltre a Silvio e Veronica, Noemi, Mariano Apicella, la segretaria Marinella e Mike Bongiorno col volto di Ugo Pagliai, presenza muta, senza l’audio della tv, mentre fa i quiz. Loro, dice il regista, sono «anime di un purgatorio immaginario e moderno che ruotano intorno a una sorta di paradiso in carne e ossa: Silvio Berlusconi. Personaggi prevedibili ma indecifrabili, un mistero di cui mi occupo». Altro mistero menzionato da Sorrentino: «Quali sentimenti muovono le sue giornate? Quali le emozioni, le paure, le delusioni su eventi che sembrano montagne?». Poi, all’anteprima, per il pubblico in sala c’è un altro mistero, riguarda i capelli: cosa ha in testa Silvio Berlusconi (a parte il governo)?