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 2018  aprile 23 Lunedì calendario

Intelligenza artificiale avanti tutta, il dialogo uomo-macchina porterà 6mila miliardi di valore

AlphaGoZero, un software della divisione Deep Mind di Google, straccia i campioni “umani” di Go, un’antica versione cinese della dama più complessa, giocata su una scacchiera 19X19 contro gli 8X8 tradizionali e con più pezzi. Ma la vera svolta, dicono gli scienziati, è che da quest’anno il software non impara più osservando migliaia di partite ma apprendendo le regole e poi esercitandosi contro se stesso. L’ intelligenza artificiale non conosce più limiti. E diventa ogni giorno di più la variabile fondamentale dell’economia industriale, un 4.0 su scala planetaria. La McKinsey, che ne monitora l’evoluzione, se nel suo rapporto 2017 puntava l’indice sulla componente “distruttiva” (il 49% dei posti di lavoro a rischio perché sostituito dalle macchine), nell’edizione datata 18 aprile 2018 del suo Notes from the AI frontier punta sull’aspetto “costruttivo”. E i risultati sono ancora più sorprendenti, stavolta in positivo: le applicazioni di AI sono in grado di creare entro pochi anni un valore aggiunto fra i 3,5 e i 5,8 trilioni di dollari su scala globale. I settori con il maggior potenziale di creazione di valore sono il marketing, le vendite e le catene operative logistiche e manifatturiere. La McKinsey ha raggiunto tale stima analizzando 400 casi in 19 settori industriali. Quasi seimila miliardi di dollari, nell’ipotesi migliore, di nuove attività, di fatturato industriale, di miglioramenti di produttività.
Destinati a essere strutturali, cioè a ripetersi anno dopo anno. E attenzione: «Noi ci siamo limitati a considerare il valore creato dai progressi scientifici e tecnologici nelle principali forme di AI, le reti “neurali”, quelle create a somiglianza del cervello umano dove tanti neuroni lavorano in sincrono collegati dalle sinapsi, che coprono non più del 40% dell’impatto prodotto dal composito settore della data science», puntualizza Alessio Botta, partner di McKinsey Analytics. Nuove capacità «Le nuove capacità di queste reti sono sorprendenti. Prendiamo un esempio di immediato riflesso sul pubblico: al momento di una transazione bancaria, da un bonifico al pagamento di una carta di credito, la rete neurale analizza in tempo reale una ricca serie di dati per identificare frodi a danno del consumatore, con precisione molto maggiore rispetto alle metodologie tradizionali basate sull’esperienza umana». Non più solo la consistenza del conto dell’interessato ma la sua storia creditizia, i precedenti, altri dati utili – salvo le informazioni protette dalle norme sulla privacy – per capirne l’affidabilità. «E se c’è qualche motivo di rischio l’operatore interviene per approfondire». È un passo avanti decisivo rispetto al passato, ma ancora più sconcertante è la capacità predittiva acquisita dalle macchine a intelligenza artificiale più avanzata: «È un altro caso di performance analoga o superiore a quella umana (risale al 2015 il primo “sorpasso”, ndr): analizzando i dati prodotti nel tempo da un macchinario come un motore aereo o un escavatore in una miniera, le reti neurali sono in grado di predire guasti nel sistema e segnalare in anticipo la necessità di riparazione, con i prevedibili risultati in termini di sicurezza. L’AI fatica però a ricondurre la decisione presa ai motivi per cui l’ha presa, e perciò rimane fondamentale la collaborazione uomo-macchina». Con un efficace aiuto umano, il machine learning può dare risultati straordinari, come l’apparecchio che sta sviluppando l’esercito americano per riconoscere i volti nel buio e attraverso i muri. I punti deboli Un punto debole dell’AI lo si ritrova un po’ a sorpresa addentrandosi nelle decine di pagine del voluminoso rapporto: le macchine sono così sofisticate che riescono a processare, a razionalizzare, a valorizzare un numero di dati gigantesco e sempre maggiore. Ma proprio per questo hanno bisogno di essere seguite e alimentate con sempre nuovi dati con cadenza mensile e in qualche caso quotidiana. «Il vero elemento di cambiamento dell’ultimo anno sta proprio, specialmente presso le aziende italiane anche piccole, nella consapevolezza delle potenzialità dell’AI e nella disponibilità a ripensare se stesse attraverso una collaborazione comtinua, intensa e proficua tra uomo e macchina», riflette Marco Morchio, il responsabile di Accenture Strategy che ha a sua volta appena licenziato il suo report annuale, Future of working: re-working the revolution. In esso si legge, tra l’altro, che il potenziale in termini di ricavi, anche qui entro pochissimi anni, può valere il 38% con un impatto positivo sull’occupazione fino al 10%. «Non pensiamo solo all’industria ma alla ricerca scientifica o alle analisi mediche. La decisione finale spetta sempre al medico o allo scienziato in carne e ossa, ma costui può disporre di un numero di dati immensamente maggiore che valorizzano e rendono più efficace il suo lavoro». Che il sentiment diffuso verso l’AI sia ampiamente positivo lo confermano i sondaggi di Accenture: il 65% dei lavoratori italiani (addirittura più della media mondiale che è del 62%) si aspetta che l’AI migliori la qualità della vita e per il 70%è cruciale sviluppare competenze che permettano di lavorare insieme con le macchine intelligenti. Le normative Il problema semmai a questo punto, come dimostra lo scandalo Facebook-Cambridge Analytica, sta nell’urgenza di creare un corpus normativo adeguato su scala globale. «La dinamica di creazione delle regole deve ancora adattarsi alla nuova era», aggiunge Morchio. «L’evoluzione tecnologica è molto più veloce di quella legislativa e si creano dei vacuum pericolosi. Serve un’accelerazione anche nella collaborazione fra gli enti regolatori e le aziende». Che la nuova urgenza sia lo spirito di “collaborazione regolata” uomo-macchina, insomma una fabbrica in cui sensori e motori dell’AI condividano lo spazio di lavoro con l’uomo e intraprendano una sinegia quasi “fisica”, lo conferma anche il libro “Human+Machine” scritto da Paul Doghery, il chief technology officer della stessa Accenture, una sorta di roadmap per ottenere i massimi benefici dalle mirabilie tecnologiche non più fini a se stesse. Il libro individua alcune macro-categorie di nuove professionalità che sapranno garantire un’applicazione di successo dell’intelligenza artificiale: i trainer sono chiamati a istruire i sistemi intelligenti, i translator ad aiutare le sinergie fra linguaggio naturale e linguaggio degli algoritmi, gli explainer a ridurre il gap tra sviluppi tecnologici e applicazioni concrete a livello di business chiarendo il funzionamento di sistemi complessi ai professionisti non tecnici, i sustainer deputati al corretto funzionamento dei sistemi intelligenti in quanto strumenti creati al servizio dell’uomo, per semplificare il nostro lavoro e la nostra vita.