La Stampa, 24 aprile 2018
L’Iran travolto dalla crisi. Precipita il valore del rial
Il 12 maggio incombe, e con il possibile ritiro degli Stati Unti dall’accordo sul programma nucleare, nuove sanzioni. I timori su una stretta alle esportazioni di gas e petrolio sono così forti che l’Iran si ritrova sotto assedio economico, almeno a livello psicologico. Il rischio di un crollo dell’economia fa passare in secondo piano le minacce dell’Isis e la possibilità di una guerra diretta con Israele in Siria. Il termometro è la moneta, il rial, che ha subito una svalutazione del 60 per cento da settembre. Allora ci volevano 36 mila rial per un biglietto verde, all’inizio di aprile il cambio è crollato fino a 60 mila e ha costretto il governo a misure estreme. L’11 aprile annullato il doppio cambio, ufficiale e di mercato, e ha unificato le quotazioni a un tasso legale di 42 mila rial. E due giorni fa ha messo fuorilegge tutte le «criptomonete» che venivano usate come alternativa al rial.
I risparmiatori hanno «scommesso contro» il rial, perché temono di ritrovarsi con un mucchio di carta straccia se le sanzioni verranno reintrodotte. Hanno investito in oro, dollari, euro e bitcoin, venduto valuta locale e contribuito al collasso. Il cambio fisso era già stato sperimentato dall’ex presidente Mahmoud Ahmadinejad all’inizio del 2012, con scarsi risultati. Già nel 2013 si era tornati al doppio binario ma l’elezione del riformista Hassan Rohani aveva ridato fiato al rial. Fino all’irruzione sulla scena di Donald Trump. Rohani ha puntato tutto sull’accordo con l’Occidente e la fine delle sanzioni. La scommessa sembrava vinta nel 2016 quando la crescita del Pil è balzata all’invidiabile ritmo del 13,4 per cento, trascinata da un più 62 nel settore petrolifero. Nel 2017-2018 il boom ha frenato a un più 4,2, secondo le ultime previsioni della Banca mondiale, ma negli ultimi mesi la decelerazione si è fatta brusca.
Ha pesato l’impatto del terremoto del novembre scorso, con oltre 1700 morti, poi le proteste a cavallo di Capodanno legate al fallimento di finanziarie speculative. Ma pesa anche una politica monetaria interna che, per cercare di calmare il malcontento e ridurre la disoccupazione, pompa cartamoneta a più non posso, con la massa monetaria che ha raggiunto l’incredibile cifra di 15 «quadrillioni» di rial, 15 milioni di miliardi, circa 357 miliardi di dollari. Tanti in un’economia che nel 2017 era pari a 600 miliardi di dollari. La liquidità eccessiva genera inflazione, ora al 9,4 per cento, e il circolo vizioso rischia di affossare anche le ambizioni geopolitiche. «L’autostrada sciita», aperta da Baghdad a Beirut, ha portato i Pasdaran a confrontarsi faccia a faccia con Israele. Un collasso economico è destinato a ridimensionare queste pretese. Anche perché lo stesso Isis non è finito e dopo 10 mesi si è rifatto vivo il portavoce di Abu Bakr al-Baghdadi, Abu Hassan al-Muhajir. E in cima alla lista dei nemici da colpire, prima dell’America, ha messo la Russia e i «pagani», cioè gli sciiti, iraniani.