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 2018  aprile 24 Martedì calendario

Interruzione delle cure: «In Italia sono i genitori a decidere»

Secondo la giurisprudenza inglese, i medici possono interrompere le cure andando contro la volontà dei genitori. E in Italia? Lo chiediamo a Ludovica Poli, ricercatrice di diritto internazionale all’università di Torino specializzata in diritti umani e giurisprudenza della Corte europea.
Quando si ricorre al giudice tutelare in caso di disaccordo tra medici e genitori?
«Il classico caso è il disaccordo su una terapia, come accade con l’opposizione alle trasfusioni di sangue dei testimoni di Geova. Se c’è disaccordo, ci si rivolge al giudice tutelare».
Nel caso di interruzione delle cure cosa succede?
«La decisione sta al soggetto interessato, in questo caso il minore e quindi i genitori. Il rifiuto del trattamento deve essere espresso dai genitori. La legge prevede anche un’apertura verso i minori, da coinvolgere nella decisione solo nel caso in cui abbiano la maturità necessaria».
In Italia sarebbe al massimo potuto accadere il contrario. Cosa cambia, a livello squisitamente legislativo, con la cittadinanza italiana?
«Per la legge italiana se un bimbo, di qualsiasi nazionalità, viene curato in Italia, allora si applica la legge italiana. Alfie ha ancora la cittadinanza inglese. La concessione della cittadinanza è un gesto politico forte, ma se l’ospedale lo avesse permesso, o comunque avesse collaborato al suo trasferimento, Alfie avrebbe potuto essere accolto in Italia anche senza cittadinanza».
I genitori di Alfie hanno contestato anche questo nel loro ricorso.
«Esatto. Che però è stato respinto con una decisione di irricevibilità. Dal punto di vista della giurisprudenza della Corte europea, il risultato è lo stesso della vicenda di Charlie Gard».
Nel caso di Charlie quali sono state le motivazioni del giudice europeo?
«In quel caso la Corte ha motivato il respingimento del ricorso dei genitori sotto due diversi aspetti. Da una parte ha valutato la normativa inglese sul fine vita sufficientemente garantista, ribadendo che il diritto alla vita non impone allo Stato di consentire terapie non autorizzate. Dall’altra la Corte ha stabilito che sottoporre il minore a una terapia sperimentale, auspicata dai genitori, non fosse nel migliore interesse del bambino».