la Repubblica, 23 aprile 2018
Nino Benvenuti: «Il cuore di Griffith le ombre di Monzon ho vissuto davvero l’età mi dà forza»
ROMA Still, ancora. È la parolina dei pugili forti. Quando l’uomo che sul ring legge il verdetto la pronuncia, il campione sa che il titolo resterà suo. Still. Basta una passeggiata in una strada elegante del quartiere Trieste a Roma per capire la popolarità ancora enorme di Nino Benvenuti, che il 26 aprile disputerà l’ottantesimo round di una vita «intensa, importante, della quale ho gustato tanti momenti senza buttarne via neanche uno». Nessuna guerra all’età, e questo nonostante la forza irrimediabilmente diminuisca. «Certo, penso anche alla decadenza fisica, ma non ne ho paura. Per il momento non me ne sono accorto più di tanto, tutto è avvenuto gradualmente.
Nessuna netta separazione tra giovinezza, mezza età e vecchiaia. La mia vita è un percorso a tappe, e da ognuna prendo qualcosa, mi fortifico. La vecchiaia un arricchimento del passato, non un impoverimento».
Un uomo sereno, sembra il ritratto di una frase di Gandhi che recita “Quando la misura e la gentilezza si aggiungono alla forza, quest’ultima diventa irresistibile”. Calzante, per uno che in India c’è stato, e non in vacanza: «Ho prestato assistenza in un lebbrosario. Lì ho capito il senso della semplicità. C’era gente malata in condizioni di totale indigenza, eppure non faceva mai mancare un sorriso.
Mi è apparso chiaro una volta per tutte di essere un privilegiato».
Eppure l’inizio è in salita. Isola d’Istria, dove nasce, viene sballottata da una bandiera all’altra nella tempesta della Seconda Guerra Mondiale fino a diventare Jugoslavia: «Un periodo difficile, ma fummo fortunati. Ci trasferimmo a Trieste, senza vivere il dramma del campo profughi o un pellegrinaggio infinito. La famiglia è sempre rimasta unita, e posso solo ringraziare Dio per avermi aiutato a scegliere i genitori giusti, due figure fondamentali nel mio cammino».
Benvenuti icona di un’epoca.
Negli anni sessanta ci sono il piedone di Neil Armstrong sulla luna, Papa Giovanni XXIII che con quella luna ci parla, i guanti neri al cielo di Smith e Carlos a Città del Messico, la notte del Madison Squadre Garden con Griffith, quella dei 17 milioni di italiani incollati alla radio. E c’è anche il Sessantotto. Quello italiano di fatto inizia con gli scontri tremendi a Valle Giulia.
Nino in quei giorni è a New York per chiudere la trilogia con Griffith, e a parecchi di quelli che contestano non piace. «Molti degli studenti non facevano parte dei miei tifosi... Del resto io sono sempre stato coerente. Non potevo essere di sinistra, per un semplice motivo. Avevo tutto, non c’era in me la voglia di rivendicare assolutamente nulla».
Cittadino di un mondo che diventa anche il set cinematografico: «Fare il pugile e al tempo stesso l’attore non è una grande idea. Io accettai per la grande amicizia con Giuliano Gemma, ma conoscevo l’ambiente, mi capitava di frequentare Alain Delon e Jean Paul Belmondo. Il film era un western, si intitolava “Vivi o preferibilmente morti”». La pellicola è del 1969, mentre all’orizzonte appare un argentino con la faccia da indio e lo sguardo impenetrabile, Carlos Monzon: «Prima o poi capita a tutti di perdere. Sono contento di aver lasciato il titolo ad un grande come Carlos. E poi quelle sconfitte mi hanno fatto capire che c’è un limite oltre il quale un uomo non può e non deve andare». Vincere, perdere, sempre senza rancore. Il ring spesso è un cemento di rapporti: «Con Griffith c’è stata amicizia sincera. Un uomo eclettico e molto buono, forse per questo si ritrovò povero e ammalato. Mi mobilitai in tutti i modi per aiutarlo». Un carattere diverso invece era quello di Monzon: «Lui era ombroso, di poche parole. Però anche con un abbraccio era capace di trasmettere la stima che provava per te. Ma non sono esistiti solo loro. Ogni tanto chiamo qualche mio vecchio avversario.
Mazzinghi? Sempre pronto a tendergli la mano. Quando ci incontriamo sono abbracci, ma da parte sue non è mai scattata l’emotività del rapporto».
Accanto a lui un gruppo di ragazzi parla di Europa, di futuro («Allora non è vero che i giovani perdono tempo solo per le c...»), e il gioco viene automatico: «Se tornassi ventenne? Non perderei tempo sui social. Alle nuove generazioni darei due consigli che sembrano distanti. Il primo è entrare in una palestra di boxe.
Magari non si diventa pugili veri, ma si impara a scrutare se stessi.
Il secondo è vivere con la poesia.
Il mio preferito è Giovanni Pascoli. È bello esprimere le proprie emozioni in versi, non si fermano mai in superficie e penetrano nell’anima».
Emozione, è questo che gli piace trasmettere per gli ottanta. Lo ha ribadito nel suo ultimo libro, ‘’L’orizzonte degli eventi, appunti di vita’’. Già l’orizzonte, perché «il passato non lo ignoro e lo rispetto, ma guardo al futuro». “And still” campione del mondo dei medi, Nino Benvenuti.