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 2018  aprile 23 Lunedì calendario

Quincy Jones: «Io, Miles e Ray a caccia delle melodie con un’anima»

ROMA Quincy Jones, 85 anni, leggenda vivente della musica moderna, sta per tornare in Italia: il 13 luglio aprirà in esclusiva Umbria jazz con un concerto che gli renderà tributo con un viaggio attorno alla sua lunga storia musicale, un concerto arricchito dalla partecipazione di molti musicisti che hanno avuto modo di lavorare con lui negli anni.
Ci saranno Erykah Badu, Ivan Lins, i Take Six, Patti Austin, Alfredo Rodriguez & Pedrito Martinez, e il nostro Paolo Fresu.
Sul palco la Umbria Jazz Orchestra diretta da John Clayton con l’aggiunta del bassista Nathan East e del batterista Harvey Mason.
Compositore, arrangiatore, performer, produttore, Jones ha attraversato il vecchio secolo e il nuovo da grande musicista, frequentando, sempre con successo, il jazz, il pop, il rock, l’hip hop e molto altro ancora: «Non faccio distinzioni tra le diverse specialità», ci dice, «per me essere in uno studio di registrazione o in un set televisivo, o nella sala di controllo, è sempre la stessa cosa. Puoi usare differenti abilità, ma tutto si riduce ad avere una visione, un’obbiettivo, e mettere insieme gli elementi giusti per ottenere quello che hai stabilito. Nel profondo io sono un arrangiatore, un compositore e orchestratore. Nel 1973, Duke Ellington mi mandò una nota che recitava “Tu sarai quello che de-categorizzerà la musica americana”. È quello che ho sempre cercato di fare. Nel momento in cui inizi a categorizzare le cose, le persone, i posti, le idee, iniziano i problemi.
L’unica musica che non amo è la cattiva musica. Mentre amo tutti i differenti ruoli che ho attraversato nella la mia carriera e sono felice di aver potuto indossare così tanti cappelli differenti. Non ne mollerei nessuno».
Lei ha iniziato il suo viaggio nella musica con Ray Charles.
Cosa lo rendeva così speciale?
«Avevo quattordici anni e lui diciassette quando ci siamo incontrati per la prima volta a Seattle. E anche a diciassette anni lui era incredibilmente indipendente, aveva il suo appartamento, il suo giradischi e tre vestiti, diventammo amici immediatamente. Mi ha insegnato il braille, e mi ha insegnato moltissimo sulla musica e sulla vita. Ray amava dire “Ogni musica ha la sua propria anima. Non importa che stile sia, devi essere fedele all’anima”. Ed è esattamente quello che facevamo, suonavamo brani tradizionali, il rhythm and blues e il be-bop.
Il nostro unico obiettivo era diventare i migliori musicisti che potevamo essere. E fummo i migliori amici dal giorno in cui ci siamo conosciuti al giorno in cui ci ha lasciato. E non c’è giorno che io non pensi a lui».
Lei ha anche lavorato con Miles Davis, con Frank Sinatra e Michael Jackson. Che ricordi ha di loro?
«Oddio, non c’è abbastanza tempo per rispondere! I ricordi sono infiniti. Dalle registrazioni dell’ultimo concerto di Miles Davis al festival jazz di Montreux nel ’91 al ricevere una telefonata da Frank che mi chiedeva di raggiungerlo per incidere un disco con lui e Count Basie, alle cose storiche che ho fatto con Michael… i ricordi sono troppi e troppo speciali per inscatolarli.
Sono così tanti da poter riempire un centinaio di vite. E considero una benedizione che siano cose avvenute nella mia».
Lei ha spesso legato la sua arte a progetti sociali: la musica può cambiare il mondo?
«Assolutamente. L’ho sempre pensato. Nessun successo ha qualche senso che non sei capace di usare i suoi frutti per aiutare gli altri».
Questo suo modo di pensare è merito anche del suo rapporto con Martin Luther King?
«Nel 1955, tre mesi dopo la morte di Charlie Parker, ho avuto l’onore di incontrarlo a casa di Jackie Robinson. Lo ricordo come se fosse oggi: ero lì per suonare con la mia band. Lui stava bevendo qualcosa di freddo, aveva un cappotto scuro e educatamente si presentò a me. Dopo averlo incontrato cominciai ad essere coinvolto in qualche cosa ma fu solo dopo il suo assassinio che mollati tutto e mi misi al lavoro.
Volai immediatamente a Chicago per fare il volontario per Jesse Jackson e la sua Operation PUSH.
La mia intera carriera, la mia vita, è basata sul provare ad abbattere i muri tra la gente di ogni colore. Ci sono poche persone nella storia che hanno lasciato un’eredità importante e significativa come Martin Luther King».
Siamo sempre a un passo dal futuro: qual è il futuro della musica?
«Il futuro della musica è splendido. Sono affascinato da quello che un sacco di giovani artisti stanno facendo, come Drake, Kendrick Lamar, Chance the Rapper, Mary J. Blige, Esperanza Spalding, The Weeknd, e gli artisti che saranno con me in Umbria. Loro capiscono e hanno abbracciato quello che c’è stato prima di loro e lo usano come fondamenta per costruire cose nuove. Ed è esattamente quello che dovrebbero fare».
Lei ha sempre amato l’Italia….
«Lo può dire forte. Il risotto con i tartufi! Cosa c’è da non amare in Italia? Ho iniziato scrivendo colonne sonore per il cinema, i miei mentori erano italiani, compositori leggendari come Ennio Morricone, Piero Piccioni, Armando Trovajoli, Nino Rota. Io amo assolutamente l’Italia e non vedo l’ora che arrivi luglio!».
Alla fine chi è Quincy Jones?
«Sto solo cercando di essere il miglior essere umano che possa essere, godendo di tutto quello che Dio ha dato a me, alla mia famiglia, ai miei amici, alla mia carriera. Ma se dovessi scrivere qualcosa di musica sul mio biglietto da visita, scriverei “bebopper”».