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 2018  aprile 23 Lunedì calendario

L’origine delle storie per me è un mistero

Un’infinità di scrittori, e per un’infinità di secoli, ha aggrottato la fronte ponendosi questa domanda: da dove viene, tutta la roba che scrivo? «La poesia è lo spontaneo straripare di potenti emozioni» è la parte forse più significativa della risposta fornita da Wordsworth. E non vedo alcuna ragione per cui non dovrei tentare di dire anche la mia, nella speranza di arrivare il più vicino possibile al fondo della questione e magari contribuire alla definitiva estinzione della letteratura – perché è a questo che sembra tendere l’intero dibattito: spiegare la scrittura e trasformarla in un teorema esatto, alla stessa stregua di un complesso problema di fisica plasmatica, così da potercene dimenticare e tornare a guardare Seinfeld in televisione. E se anche non dovessi riuscire nel mio intento, potrei almeno dire qualcosa di spiritoso e gradevole, che induca magari l’ascoltatore o il lettore a cercare il libro al quale tengo veramente – quello che ho appena scritto e che spero piacerà a tutti.

Forse quest’indagine mantiene una sua vitalità in America, almeno entro una certa misura, per via di quell’istituzione in gran parte americana che è rappresentata dai corsi di scrittura creativa – dei quali sono un diplomato con tutti i crismi e che gli europei tendono a guardare con un misto di condiscendenza e fastidio.
L’istituzione ha molte virtù, la più preziosa delle quali è che ti offre parecchio tempo da dedicare alla scrittura. Ma ha anche diversi difetti, uno dei quali è il dubbio beneficio di essere costantemente circondato da colleghi e compatrioti che la pensano come te, e sono pronti a discutere di quello che stai scrivendo, come se il cameratismo contribuisse naturalmente a far crescere la qualità di un’opera importante, per giunta nella fase stessa in cui la componi. Come facciamo quel che facciamo, e perché lo facciamo, è un argomento nel quale un certo tipo di persona ansiosa non potrebbe fare a meno di imbattersi, in un periodo della vita nel quale riuscire a scrivere qualcosa è già un problema di per sé, la quantità di opere già composte è modesta e ben poco distinguibile dalla dimensione privata, e la persona in questione scopre che il libro a cui sta lavorando non è un argomento di discussione particolarmente esaltante. Tra novizi della scrittura, invece, l’argomento generico dell’ispirazione e delle sue fonti può essere l’unico elemento comune, e non sarebbe difficile farlo passare per una raffinata speculazione del tipo più disinteressato.
Una cosa va chiarita, però: un’altra forza socioletteraria che tiene vivo l’argomento è la volubile convinzione, diffusa tra le molte persone che non sono scrittori, che gli scrittori siano gente speciale, officianti di un rito sacro, in possesso di una spinta interiore cui sarebbe saggio tentare di accostarsi, per attingere furtivamente all’essenza di una possente vitalità. Gli interrogativi sul come, il perché e via dicendo diventano altrettante genuflessioni di fronte al medium della scrittura. E gli scrittori, essendo in generale dotati di un basso livello di autostima e vivendo in una costante ricerca di attenzioni per il loro lavoro, accettano volentieri di diventare gli esponenti delle rispettive opere, quando non addirittura gli avatar. Ricordo un aneddoto sul conto di uno scrittore che conosco, il quale, nell’accompagnare un visitatore alla sua scrivania con affaccio sul Pacifico, avrebbe sussurrato, mentre entravano in punta di piedi nella stanza sacra e inondata di sole: «Bene, eccoci arrivati. È qui che compio la mia magia».
Anche in questo caso, non c’è nulla di nuovo: siamo solo di fronte a un ennesimo esempio dell’idea secondo la quale accostarsi allo scrittore ci rivelerà in modo più pieno e autentico la natura dell’opera; ovvero, in caso contrario, del vecchio errore che porta a confondere il creatore con l’oggetto della sua creazione: un oggetto che potrebbe veramente sprigionare una sorta di magia, chi può dirlo?
Se prendo in considerazione la serie di connessioni meccaniche che potrebbe aver fatto viaggiare un’opera letteraria dal nulla – il “luogo” dove risiedeva prima che la scrivessi – alla sua forma definitiva, ossia il libro che spero tanto vi piaccia, rischia di prendere forza in me l’idea romantica che l’invenzione artistica sia una sorta di magia regolata dal caso, che non può essere spiegata in modo adeguato come invece accade per un treno in arrivo a Des Moines, di cui è possibile rintracciare all’indietro l’intero percorso, tra scambi, binari, incroci e gallerie, fino al suo punto d’origine, a Paducah.
Forse avrete già capito dove voglio andare a parare: i veri collegamenti sono impossibili da rintracciare perché esistono soltanto in quello spazio interstellare buio, confuso, silenzioso ma fecondo nel quale regnano gli impulsi, le libere associazioni mentali, l’istinto e l’errore. E seppure dovessi tentare di ricostruire fedelmente l’eziologia di un mio testo, rischierei sempre di mentire in proposito, o magari di fornire informazioni sbagliate perché la mia memoria è labile. In ogni caso, finirei per inventare, proprio come fanno i critici e gli studiosi: non gli scrittori però, che, come ho già detto, partono sempre dal nulla.

– Traduzione di Luca Briasco e Sara Bilotti