Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2018  aprile 22 Domenica calendario

Il giallo del reporter Usa scomparso a Damasco fra video, negoziati, spie: «È nelle mani di Assad»

Un milione di dollari. Una ricompensa offerta da Washington a chiunque aiuterà a risolvere il mistero di Austin Tice, il reporter Usa scomparso in Siria e forse al centro di una partita complessa. 
Tice, ex marine e free lance, raggiunge il territorio siriano nel maggio 2012, segue la guerriglia dei ribelli dell’Esercito libero, scrive per grandi quotidiani. A metà estate sembra voglia tornare a casa, invece sparisce nella zona di Daraya, periferia di Damasco. È il 13 agosto, all’indomani del suo trentunesimo compleanno. Passerà quasi un mese prima che spunti uno strano video dove vi appare con il volto bendato, in mezzo a uomini armati. È disperato, i suoi carcerieri gridano «Allah è grande», indossano abiti di foggia afghana. A prima vista potrebbe sembrare il classico filmato girato da terroristi-predoni, però non c’è logo o rivendicazione. Nascono dubbi, non si esclude un depistaggio per allontanare l’attenzione dai veri colpevoli. La sua sorte affonda nella palude del conflitto.
Quando Donald Trump entra alla Casa Bianca il caso di Austin riemerge. Collaboratori del presidente suggeriscono nuove iniziative nonostante l’ostacolo dell’allora consigliere Steve Bannon che – sostiene il New York Times – accusa l’ostaggio di imprudenza. La storia passa al direttore della Cia, Mike Pompeo. Gli Usa si muovono perché sospettano che l’americano sia nelle mani del regime, forse detenuto dall’intelligence dell’aviazione, apparato coinvolto da sempre in trame anche in Occidente. Per anni i servizi di Assad hanno coperto i sequestri di fazioni palestinesi e filo-iraniane in Libano, lo facevano per «lucrarci»: gli ostaggi, spesso, erano liberati a Damasco e i governi occidentali si chinavano grati pur sapendo del doppio gioco. Pragmatismo e diplomazia.
A Washington non escludono di ripetere il teatrino per portare a casa il rapito e stabilire un nuovo rapporto con la dittatura. Pompeo telefona ad Alì Mamlouk, un capo degli 007 siriani, figura potente ricevuta di recente anche in Italia. Lo schema – racconterà in seguito il New York Times – prevede che Tice «riemerga» all’improvviso, riconosca di essere entrato illegalmente e sia poi perdonato dalle autorità. Storia chiusa, mille ringraziamenti. L’ambasciatrice Usa all’Onu Nikki Haley, a febbraio, rilascia dichiarazioni in cui sostiene che la cacciata di Assad non è più una priorità. Apertura che per alcuni rappresenta un segnale. Il negoziato parallelo prosegue ma si blocca dopo l’attacco chimico di un anno fa da parte dei lealisti, la Casa Bianca reagisce con l’attacco missilistico. 
Nel mezzo ci sono anche i russi. Mosca ipotizza di scambiare Tice con sue spie detenute in America, un’equazione pericolosa. Non se ne fa nulla in quanto il Cremlino lascerà cadere il dossier, forse perché non aveva alcuna dritta sul giornalista. Era solo un bluff. La «traccia» diventa inesorabilmente fredda. Damasco negherà ogni accusa, giurerà di non possedere elementi su Tice, torneranno le solite voci che accompagnano gli intrighi regionali, compresa quella che lo detengano dei miliziani. I diplomatici Usa, pur senza rivelare prove, sono convinti che Mamlouk – in un modo o nell’altro – abbia in mano la chiave del mistero. Aggiungono che almeno fino al 2016 c’era la sicurezza che Austin fosse ancora vivo, ricoverato in ospedale. Il premio offerto dall’Fbi ha riaperto le supposizioni sui responsabili: mercenari usati dai governativi? Terroristi jihadisti? Insorti in cerca di un riscatto? Quesiti che se ne portano dietro altri. È la legge del Medio Oriente.
Sono domande che ogni giorno si pongono i genitori di Austin, angosciati quanto coraggiosi. Attenti a non rivelare dettagli che potrebbero compromettere gli sforzi in atto, ma al tempo stesso determinati nell’esplorare qualsiasi sentiero che conduca al figlio. Per loro ogni iniziativa è un incoraggiamento, devono e vogliono sperare che alla fine si apra una breccia nel muro del silenzio.