L’Economia, 23 aprile 2018
L’insostenibile leggerezza del mattone di carta
Chi avesse investito nel 2012 in un fondo con immobili a Berlino oggi godrebbe di un ritorno annuo medio del 12 per cento. Sì, può andare bene, ma può andare anche male. Molto male. Nel 2017, in un anno positivo per i mercati finanziari, i fondi chiusi immobiliari hanno realizzato risultati deludenti un po’ ovunque nel mondo. In Italia, a fronte di alcuni progressi (Mediolanum Re +4,4 per cento, Torre Opportunità Italia +4), vi sono stati inquietanti crolli, come Obelisco (-26,7) e Atlantic 2 (-20,6) arrivati a scadenza.
Ma il caso del quale si è discusso poco, e dovrebbe far riflettere di più il mondo del risparmio gestito, è quello di Vegagest. La società ha sospeso il 28 marzo i rimborsi del fondo Europa immobiliare 1. All’indomani dell’apertura di un’indagine della Guardia di Finanza. Il calvario dei sottoscrittori, già penalizzati con una perdita in conto capitale del 27 per cento, si fa più duro e incerto. Uno dei distributori dei fondi, Poste Italiane, ha promesso di coprire la parte mancante al raggiungimento del valore iniziale dell’investimento. Gli uffici postali nel 2004 cominciarono a collocare anche presso la clientela più minuta (i tagli minimi erano di 2.500 euro) le quote di Europa Immobiliare 1 e di altri fondi chiusi. Poste Italiane ha fatto sapere che, dopo l’«improvvisa» decisione di Vegagest, valuterà la nuova situazione. Ha ribadito che tutelerà i propri clienti. In modalità diverse e migliori di altri collocatori. Vedremo.
Com’è possibile che il salvadanaio italiano per eccellenza abbia potuto vendere ai più piccoli e sprovveduti risparmiatori – sicuri della granitica affidabilità di un’istituzione benemerita – prodotti così rischiosi? Il mattone, nell’immaginario popolare, è sinonimo di solidità e sicurezza. I fondi immobiliari hanno caratteristiche diverse. Non necessariamente negative, anzi. Ma bisogna essere consci dei pericoli cui si va incontro. Sottoscrivere una quota di un fondo immobiliare non è come acquistare un piccolo monolocale e aggiungervi la liquidità tipica delle azioni. Il valore delle quote comprende anche l’attualizzazione degli affitti futuri, quando ci sono. I fondi in Borsa hanno già quotazioni inferiori al Nav (Net assets value) cioè il patrimonio immobiliare sottostante. La differenza può sfuggire al cliente, non al distributore. E le Poste non erano, e speriamo non siano mai, una sgr qualsiasi. Sono le Poste, lo Stato, anche una volta quotate. Anzi, a maggior ragione.
Impegni
Il gruppo, ora guidato da Matteo Del Fante, si è impegnato a risarcire i risparmiatori. Ha stanziato 80 milioni. Lo aveva già fatto, in un caso analogo, per i sottoscrittori di Invest Real Security con un costo di 50 milioni. Ma dobbiamo domandarci perché, per tanti anni, quell’attività agli sportelli sia passata inosservata senza suscitare particolari dubbi e proteste. Certo, nel momento in cui si cominciò a vendere quei prodotti, la crisi del 2008 era lontana. Oggi c’è la Mifid2 che dà sicuramente maggior garanzie di trasparenza e prevede la possibilità di bloccare in anticipo i prodotti più rischiosi. Ma la Consob poteva e doveva avere un’attenzione maggiore. Il tema dei fondi immobiliari retail meriterebbe un supplemento di riflessione. Il neopresidente di Consob, Mario Nava, non farà mancare la propria attenzione.
Al di là delle regole e dei controlli necessari, vi è una considerazione di carattere generale che investe l’etica della funzione di chi gestisce il risparmio, bene tutelato dalla nostra Costituzione. Non è possibile per professionisti seri, pur allettati da buone commissioni, ritenere normale un legame indiretto, seppur contrattuale, fra due mondi così diversi e sideralmente lontani. Il piccolo risparmiatore (alle Poste ancora di più che in banca) e i gestori di fondi immobiliari pur regolati. Il correntista umile che va allo sportello come fosse un confessionale e l’asset manager che nel frattempo compra –— come è accaduto per l’sgr Vegagest –— case e uffici nel Regno Unito, Germania, Olanda attraverso una ragnatela di controllate. Che ne sa il piccolo investitore della leva impiegata dal fondo, con il credito bancario, per ragioni fiscali (la deducibilità degli interessi) e per aumentare i rendimenti attesi? I fondi immobiliari sono stati avviati alla fine degli anni ‘90. Durata minima: dieci anni. Un investitore nei fondi quotati italiani, dal 2003 a oggi, ha realizzato un rendimento medio negativo dell’1 per cento, al lordo delle tasse. La Banca d’Italia, in uno studio del giugno dello scorso anno, ha dovuto constatare l’effetto perverso della concentrazione di scadenze nel periodo 2015-18. In troppi si sono trovati a liquidare immobili non sempre facilmente vendibili (gli uffici, i capannoni), con elevati tassi di sfitto. E conseguente pressione su prezzi e quote. In pochi sono riusciti, convincendo i sottoscrittori, a ottenere la proroga della durata del fondo. Tra le cause del dissesto della Cassa di risparmio di Ferrara (Carife), commissariata con il decreto salvabanche a fine 2015, vi erano anche i finanziamenti a Vegagest. Le banche in difficoltà sono state accusate di essere state troppo generose nel credito immobiliare, di aver finanziato costruttori senza le adeguate garanzie. Il cerchio perverso si chiude con il collocamento di prodotti immobiliari alla piccola clientela in veicoli in cui le stesse banche (esempio Carife) sono azioniste. Una girandola infernale.
Naturalmente qui parliamo della patologia di un sistema comunque vitale per l’economia italiana. Fondi immobiliari, regolati e trasparenti, sono proponibili alla clientela minuta a patto che questa non vi metta tutti i suoi beni con lo slancio con cui compra la prima casa. La distinzione tra strumenti diversi deve essere netta. I fondi riservati, che sono la maggior parte, con quote minime da 500 mila euro, sono adatti a investitori professionali.
Rendimenti
I ridotti rendimenti dei prodotti finanziari hanno fatto salire l’attrattività di investimenti illiquidi, come i fondi immobiliari. Alcuni intermediari suggeriscono spostamenti di portafoglio in questa direzione. Con profili di rischio non sempre correttamente valutati. Le commissioni di gestione sono pesanti (tra l’1 e il 2 per cento); quelle di collocamento per gli intermediari variano dallo 0,5 al 4 per cento, più le eventuali di performance. La recente estensione dei Pir (Piani individuali di risparmio) alle società quotate immobiliari può indurre a ritenere l’esenzione fiscale un cuscinetto sufficiente a coprire rischi di altra natura. Chi investe, più o meno direttamente, sul mattone tende poi a sottovalutare un eventuale aumento dei tassi che deprime i valori. Gli attivi scendono. Il debito contratto dal fondo sale. E quando è in difficoltà, in prossimità della scadenza contrattuale, vende. Anzi svende. Come è accaduto tante volte in passato.