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 2018  aprile 22 Domenica calendario

Banksy cancella Hirst

Potrebbe essere il soggetto d’un film. Fine anni Novanta: in Inghilterra soffiava un vento di euforia. Questa storia inizia in quel periodo effervescente. È una storia di amicizia, di scambi, di sfide. Ne sono protagonisti due celebrity del mondo dell’arte. Personalità apparentemente lontane, quasi antitetiche. Damien Hirst e Banksy. Da una parte, un artista ipervisibile e contraddittorio, tra gli animatori della Young British Art, autore d’installazioni provocatorie e respingenti che spesso hanno raggiunto quotazioni molto elevate: secondo i critici, una sorta di simbolo del declino dell’arte e del gusto. Dall’altra parte, una tra le figure più «invisibili» e misteriose della street art, un creatore di affreschi corsari con una forte tensione civile che occupano i muri di molte città.
Al di là delle differenze, molte coincidenze. I due artisti si frequentano. Viaggiano insieme. E condividono opinioni ed esperienze pur con sensibilità diverse. Appartengono alla stessa generazione. Per entrambi Bristol ha un’importanza particolare: Hirst v’è nato, Banksy vi ha realizzato la sua prima opera murale. Agli inizi del Duemila risalgono i primi momenti di rivalità. Il fantomatico pittore incappucciato accusa il multimilionario amico di essersi «svenduto» al mercato. Le tensioni si stemperano nel 2006 quando Banksy accetta l’invito di Hirst di esporre alla Serpentine Gallery di Londra.
È il 2008 quando i due concepiscono insieme un’opera, Keep It Spotless, che viene battuta all’asta per 1,8 milioni di dollari. L’anno successivo Banksy, in una personale-performance all’interno del Bristol Museum, presenta un quadro del suo compagno di strada, dipingendovi un grosso topo. Negli anni successivi il confronto umano, intellettuale e poetico rimarrà intenso. Nel 2011, al Moca di Los Angeles, Banksy compone una vetrata neogotica ispirata a un lavoro di Hirst, Doorways to the Kingdom of Heaven. Infine, è il 2016, nel lugubre (e provvisorio) lunapark Dismaland, allestito nel Somerset, tra le opere di altri artisti da lui scelte, Banksy include anche quelle di Hirst. Questi frequenti incroci hanno portato un cronista del «Daily Beast» a ipotizzare addirittura, in un articolo pubblicato nel 2013, che i due artisti fossero la medesima persona. Un’illazione forse inverosimile. E se dietro l’imponente macchina-Banksy ci fosse Hirst?, si è chiesta, invece, Bettina Prentice. Secondo la responsabile della Prentice Art Communications, è probabile che il creatore di controverse installazioni con animali sotto formaldeide sostenga economicamente, in segreto, le «uscite» di Banksy. Egli è come il mago di Oz, abile nell’orchestrare un complesso e fortunato spettacolo mediatico-mercantile. «Ci sono voci secondo cui Hirst stia finanziando Banksy, che in cambio promuove Hirst sfregiandone o citandone le opere».

Ultimo capitolo. Lo scorso 21 marzo Hirst ha pubblicato sul suo profilo Instagram un post in cui ha riprodotto, insieme con altri materiali, immagini di due suoi spot painting su cui è intervenuto Banksy. Distese bianche, invase da coriandoli colorati sistemati in maniera geometrica, in modo da delineare pattern astratti, sono state sporcate, aggredite, violentate. «Sfottute», come ha detto Hirst. Un quadro rettangolare è stato vandalizzato e «timbrato» con lo slogan politico apparso per le strade di Londra nel 2012: Sorry. The lifestyle you ordered is currently out of stock. Ovvero: «Spiacenti. Lo stile di vita che avete ordinato non è attualmente disponibile». Nell’altro quadro, la pixelatura policroma è stata contaminata da un topo-imbianchino, che ricorda da vicino uno street artist : non vuole farsi cogliere sul fatto, mentre cancella un’opera preesistente, preparandosi a lasciare i suoi segni su quella parete.
Siamo dinanzi ad azioni che oscillano tra eresia, ironia e condivisione. Banksy sembra richiamarsi innanzitutto al Raffaello che, per lavorare nelle stanze vaticane, aveva dipinto sopra gli affreschi di Piero della Francesca e Bramantino. Anche il graffitista – semiologo di strada – appare sorretto ora da un misto di ammirazione e blasfemia: rivela stima nei confronti dello scultore del teschio con i diamanti; ma ne trasgredisce le iconografie, fino a renderle quasi irriconoscibili.
Per effettuare le sue «aggressioni», Banksy guarda anche alle ingegnose trovate di Duchamp, il quale, in L.H.O.O.Q., aveva «ripreso» la riproduzione fotografica della Gioconda, cui aveva aggiunto un paio di baffi. Banksy rende radicale questo trucco concettuale: anch’egli acquisisce due quadri già-fatti, cui attribuisce un significato diverso, trasformandoli in territori dove mette in scena irrequieti sberleffi. Inoltre tende a drammatizzare costruzioni consapevolmente impersonali, meccaniche e seriali come quelle dell’Hirst pittore, elaborando un originale ready made. Dà vita così a un’avventura che ha poco in comune con altre sperimentazioni analoghe (come quelle realizzate in coppia da Warhol e Basquiat, da Rauschenberg e Pottorf o da Gordon e Parreno). Un’opera a 4 mani, i cui autori sembrano «parlarsi» a distanza e sfidarsi. Hirst definisce la griglia su cui Banksy fa muovere un racconto allegro ma disturbante.
Negli anni il dialogo si è svolto dapprima all’interno di siti artistici istituzionali: Keep It Spotless è stato venduto nel 2006 a un’asta; mentre il primo spot painting attraversato da un ratto è stato mostrato nel museo di Bristol nel 2009. I più recenti interventi, invece, sono stati affidati a un social come Instagram. La scelta indica la predilezione per uno spazio di libertà, nel quale non bisogna attenersi alle regole e alle ritualità dell’ artworld. Un’ agorà immateriale, che ha accolto ora il gesto di un profanatore intento a privare di ogni aura opere d’arte altrui, donando a esse però un’aura ulteriore. E se questo happening, al di là di tanti possibili esercizi interpretativi, fosse solo un modo per distrarsi, per giocare? È come se, riecheggiando Palazzeschi, Hirst e Banksy ci dicessero: «Lasciateci divertire!».