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 2018  aprile 22 Domenica calendario

APPUNTI PER GAZZETTA - UN MONDO DI PLASTICADALLE PAGINE DI REPUBBLICA DI STAMATTINAdall’articolo di Pascal Acot (traduzione di Fabio GalimbertiGiornata della Terraquello che sta sotto la superficie dell’acqua: quantità enormi che fluttuano fra due mondi, in particolare le “microplastiche” (rifiuti frammentati di dimensioni inferiori a cinque millimetri)

APPUNTI PER GAZZETTA - UN MONDO DI PLASTICA

DALLE PAGINE DI REPUBBLICA DI STAMATTINA
dall’articolo di Pascal Acot (traduzione di Fabio Galimberti
Giornata della Terra
quello che sta sotto la superficie dell’acqua: quantità enormi che fluttuano fra due mondi, in particolare le “microplastiche” (rifiuti frammentati di dimensioni inferiori a cinque millimetri).
L’antenato delle materie plastiche industriali moderne è la “bakelite”, un polimero sintetico sviluppato a partire dal 1907 dal chimico americano di origine belga Leo Baekeland (1863-1944), che gli diede il suo nome commerciale. La plasticità del prodotto, il basso prezzo, la sua solidità e leggerezza e il forte potere isolante rappresentarono una rivoluzione nel vasto mondo dei piccoli contenitori, delle apparecchiature elettriche e dei piccoli componenti per automobile. Per alcuni decenni, la bakelite dominò il mercato. Poi si succedettero le scoperte, come il plexiglass nel 1932, il nylon nel 1935 e il teflon nel 1938, per fare solo alcuni nomi. La Seconda guerra mondiale fece esplodere la richiesta di materie plastiche: la fòrmica e i siliconi fecero la loro comparsa nel 1941 e le gomme sintetiche, in Germania, nel 1945.
A partire dagli anni Cinquanta, grazie alla petrolchimica, fece la sua comparsa in massa negli ambienti marini il polistirene, la cui stabilità ecologica si calcola in centinaia di anni. Non è un veleno, ma come tutte le materie plastiche ingombra e poi ostruisce i sistemi digestivi, provocando la morte degli organismi (soprattutto tartarughe marine e mammiferi marini) che scambiano i rifiuti per prede.
Dal momento del suo sviluppo industriale intensivo, durante gli anni Cinquanta, la produzione mondiale di materie plastiche ha seguito una crescita esponenziale, fino a raggiungere i 320 milioni di tonnellate nel 2015. Ahimè, il successo della plastica si deve alle sue qualità: la plasticità che gli ha dato il nome, il basso costo, l’imputrescibilità e le grandi qualità meccaniche. Oggi è il materiale ideale per l’imballaggio, che rappresenta il 50 per cento del suo campo di utilizzo. La plastica da imballaggi non è fatta per durare, dunque, ma diventa un rifiuto non appena il prodotto che avvolge o protegge viene liberato.
Gli effetti ecologici dei rifiuti plastici sugli ecosistemi marini sono quasi impossibili da quantificare. Sicuramente giocano un ruolo importante nel calo delle risorse alieutiche e più in generale nell’arretramento demografico di numerose specie marine, ma questo arretramento è dovuto anche ad altri fattori: inquinamento chimico, pressione dell’industria della pesca, pesca di frodo delle specie protette ecc. È difficile distinguere tra i vari fattori. Tuttavia, si può considerare che in una sola zona di concentrazione di plastica del Pacifico, la fauna ingerirebbe diciottomila tonnellate di plastica l’anno, vale a dire cinquanta tonnellate al giorno, spesso sotto forma di “microplastiche”. L’ingestione animale di queste materie riguarda gli oceani mondiali nella loro interezza. A ogni taglia di rifiuto corrisponde quella di un organismo marino che lo inghiotte: di conseguenza, gli effetti si fanno sentire sull’insieme delle catene alimentari che strutturano gli ecosistemi del mare.
Infine, e più in generale, uno studio effettuato all’Università della California (sede di Santa Barbara) stimava nel 2017 la produzione di plastica dalle origini a oggi a più di nove miliardi di tonnellate: oltre 5,4 miliardi di queste tonnellate di plastica, secondo gli esperti, sono finiti nell’ambiente… Paradossalmente, abbiamo delle ragioni per non precipitare nello sconforto, e sono almeno tre: la prima viene da quelli che vengono chiamati “giri subtropicali”. Questo termine designa le correnti circolari dei grandi bacini oceanici: sono delle correnti vorticanti che girano in senso orario nell’emisfero boreale e in senso opposto in questo australe, il tutto a causa della “ forza di Coriolis” (forza fittizia perché gli effetti percepiti sono legati alla rotazione terrestre). Sotto l’effetto di questi fenomeni, i rifiuti di materie plastiche si accumulano in punti precisi degli oceani, formando quelle gigantesche zone che a volte vengono descritte come regioni di un continente di rifiuti. Le cinque zone principali si trovano nell’Atlantico settentrionale e meridionale, nel Pacifico settentrionale e meridionale e nell’Oceano Indiano, a cui bisogna aggiungere i “mari chiusi” come il Mediterraneo e il Mar Nero. Se si riuscisse a trasformare i rifiuti plastici in risorse, i “continenti” di cui abbiamo appena parlato potrebbero diventare, almeno in parte, gestibili. In questa eventualità, potrebbero essere intraprese azioni che si possono apparentare a delle “ cure” ambientali. Un giorno potremmo riuscire a stabilizzare il vortice dei rifiuti dell’Atlantico settentrionale, e forse vederlo diminuire.
Potrebbero essere avviate anche delle iniziative di prevenzione, fortemente legate alla ricerca scientifica di base. Una potrebbe riguardare le modalità di fabbricazione delle materie plastiche, puntando alla sostituzione delle componenti chimiche tossiche in questione, cosa che, contribuirebbe a valorizzare i rifiuti. Una terza via possibile potrebbe essere quella della regolamentazione. In questo modo si potrebbe limitare l’uso di materie plastiche nell’imballaggio dei prodotti della grande distribuzione. È quello che succede negli Stati Uniti, dove gli acquisti delle famiglie il più delle volte vengono riposti dentro buste di carta di robustezza adeguata. Allo stesso modo, sapendo che gli scarichi in mare di materie plastiche passano spesso attraverso i fiumi, potrebbero essere introdotte delle normative che inducano a intercettare i rifiuti plastici alle foci. Nel suo A Sand County Almanac, il grande ambientalista e umanista Aldo Leopold ( 1887- 1948) ci invitava a “ pensare come una montagna”. Proviamo per un breve istante, per comprendere meglio qual è la posta in gioco in materia di ecologia globale in questo nostro Ventunesimo secolo, a pensare come il mare.

SOLDINI: La prima volta che mi sono reso conto della gravità della situazione è stato nel 2015, a bordo di Maserati durante il record San Francisco- Shanghai. Nella zona a nord est delle isole Hawaii la quantità di oggetti che io e il mio equipaggio abbiamo visto sfrecciare di fianco alla barca ci ha lasciati esterrefatti. C’era di tutto: boe, bottiglie, matasse di cime, lampade cinesi, cassette di polistirolo. Una volta abbiamo avvistato perfino un enorme bombolone di gas che galleggiava indisturbato in mezzo al mare. Sempre in quelle acque nel 2017 abbiamo rotto un timone del trimarano Maserati Multi 70 durante la regata Transpac proprio per una collisione con un oggetto alla deriva. La stessa cosa ci è successa recentemente nell’oceano Indiano durante il record Hong Kong-Londra.

( oggi ogni tre tonnellate di pesce ce n’è una di plastica) CARLO PETRINI
rodurre plastica al ritmo attuale (trecento milioni di tonnellate all’anno), IBID
Pensiamo alla vita media di una cannuccia (tra l’altro in molti bar ne mettono due per bicchiere, peggio ancora!). Quanto sarà, dieci secondi, tre minuti? E poi dritto nella spazzatura ( e prima o poi anche in mare). O alle stoviglie di plastica, all’imballaggio che racchiude la verdura e la frutta confezionata. Oppure alle monodosi di shampoo negli hotel: una bustina o un tubetto di plastica nato per servire per il tempo di una doccia. E poi via anche questo, magari con ancora metà del contenuto. Su questo come cittadini possiamo e dobbiamo incidere. Ne parlavo l’altro giorno con la proprietaria di un albergo facendole notare che in molti posti, specialmente in nord Europa, il dispenser ricaricabile ha preso piede, con conseguente risparmio di rifiuti. Risposta? Ai clienti il dispenser non piace. È qui che dobbiamo intervenire, dobbiamo divenire clienti che chiedono il dispenser. Siamo ancora in tempo, ma non possiamo non giocare questa partita in prima persona, tutti. Per noi e per i nostri figli. IBID