la Repubblica, 18 aprile 2018
Quelle vite filmate tra i libri
Questo documentario, se possibile, bisognerebbe proprio vederlo: dura tre ore e 17 minuti, pare troppo (però c’è chi passa l’intera domenica a guardare tutte le puntate di una fiction) e racconta di un luogo che forse molti ritengono antiquato e non gli verrebbe mai in mente di frequentarlo; una biblioteca. Ma Ex Libris (in sala 23, 24 e 25 aprile) non porta solo nello splendore di uno dei luoghi più celebri al mondo, la New York Public Library; ma racconta una città sconosciuta, una New York inedita, i tanti quartieri, le comunità di diverso colore e religione, le strade scintillanti di vetrine e quelle sommerse dalla spazzatura, i suoi intellettuali, i suoi diseredati, i ricchi, gli abbandonati, gli studiosi, i vecchi e i bambini e gli studenti.
I responsabili dell’istituzione, che si riuniscono per programmare il futuro, ottenere denaro pubblico e naturalmente privato, dare il web a tutti, attrezzarsi al più presto oltre la banda larga che è già obsoleta; riuscire, in uno degli ultimi luoghi di accanita democrazia culturale, ad aiutare chi non sa a sapere, chi sa a sapere meglio, chi non ce la fa a farcela, chi non avrebbe futuro ad averlo.
L’autore del film è, per chi lo conosce, il grande Frederick Wiseman, una quarantina di documentari in 50 anni, che, avendo 88 anni, viene descritto come un miracolato: ancora vivo e ragionante! E molto democratico, forse anche troppo e in modo un po’ antico, da tempi migliori, in un presente trumpiano e leghista e assadiano ecc. in cui prevalgono ignoranza, indifferenza, discriminazione. Il suo modo di filmare è avvincente: non sa nulla del luogo in cui va a girare (in altri film un ospedale per psicopatici criminali, un laboratorio di esperimenti sulle scimmie e molto altro), e per Ex Libris si è piazzato in varie sedi della biblioteca, aspettando che succedesse qualcosa, casualmente, senza sapere cosa, senza parlare prima con nessuno, senza costruire una storia, senza mai intervenire, né con la voce né con la sua immagine, senza mai sentirsi dire di no, senza intervistare, solo osservando ciò che accadeva davanti a lui. Girando per 12 settimane, ore ed ore di un film interminabile, ridotto poi alla lunghezza attuale. Sin dalle prime immagini si prova un’emozione inaspettata, un senso di partecipazione, di condivisione, di scoperta: tra i passanti della Quinta Strada che fotografano il maestoso palazzo del 1911, con gradinate e colonne e leoni di marmo, dedicata adesso a un finanziatore che nel 2008 regalò all’istituzione 100 milioni di dollari in un solo colpo.
Lì, ma anche nelle altre 92 sedi metropolitane (ne ha filmate 12) può esserci la conferenza di uno scienziato che esalta il pensiero laico, Elvis Costello con cappello e la sua autobiografia ben in vista, che ricorda la sua vecchia canzone antiThatcher, un giovane storico di colore che spiega come la religione islamica non abbia mai appoggiato lo schiavismo, come invece sostengono altri studiosi. Patti Smith dai lunghi capelli bianchi spettinati racconta di sé, un giovane professore illustra una sua ricerca sul simbolismo fallico del pastrami tra gli ebrei americani di seconda generazione. E i libri? Ce ne sono ovviamente milioni, di tutto il mondo e anche antichi: li danno in prestito e per gli acquisti gli amministratori discutono di best seller e testi di ricerca, di cartaceo e di ebook, di diritti del popolo e degli studiosi, ma bisogna anche rincorrere chi non li restituisce. A un servizio telefonico rispondono gentilissimi: no, la Bibbia Gutenberg al momento non è disponibile, sì l’unicorno è una invenzione del XIII secolo, mi scusi ma cerco di tradurre dall’inglese medioevale. Ecco i saloni di lettura, ognuno davanti a un computer in cerca di risposte ai loro bisogni: scorrono sugli schermi giornali del primo Novecento, consigli medici, fotografie di moda, romanzi attuali, c’è chi scorre montagne di vere fotografie o incisioni dal 1915, divise secondo i nomi e le situazioni; cane, cane che salta, cane che morde, cagnetti, cagnoni, cane che distrugge una palla. Wiseman, regia, sonoro, montaggio, tutto curato da lui, si sposta nelle sedi di Harlem, del Bronx, di Lower e Mid Manhattan, di Staten Island; un mondo di neri, di asiatici, di povertà, abbandono, vecchiaia, ma anche bambini piccoli, allegri e già abili col web. In queste Public Library di quartiere si decantano la vita del pompiere o dell’infermiera per offrire lavoro, si insegna ai ciechi l’uso del Braille e si prestano audiolibri, le anziane ritrovano gioia imparando l’uso del pc per fare ricerche sui loro parenti. Durante i concertini, la pianista, il quartetto, offrono musica contemporanea, e il poeta legge le sue opere a ritmo metal, e tanti, al riparo dalla strada, si addormentano. La grandezza di Wiseman è nel rispetto con cui si sofferma sulle facce: belle ragazze nere dalle pettinature stravaganti, vecchie nere assopite in carrozzella, disoccupati neri disperati, nere colte che denunciano i testi scolastici che sorvolano sullo schiavismo, o incantano con un profondo paragone tra Marx e Lincoln. Non sappiamo i nomi di chi vediamo, neppure delle signore ingioiellate che partecipano alle cene di fundraising; non ce ne è bisogno, perché qui non conta l’individuo, la celebrità, il potente, il nessuno, ma il luogo, il sapere, l’umanità, l’impegno, la speranza, o l’illusione, di una vita migliore per tutti. Gli amministratori della Public Library si chiedono, democraticamente, come rispettare i diritti di tutti, dei tanti homeless che trovano rifugio nelle varie sedi con il loro carico di desolazione, e chi è lì per sapere, studiare creare e può sentirsi distratto, oppresso da quelle presenze di eterna marginalità.
Questo meraviglioso Wiseman non esagera mai, non vuole commuovere, neanche far sentire vagamente in colpa, né giudicare, né fare la morale: mostra ciò che non si vede o non si vuole vedere, ricorda il valore della cultura, la necessità di conservare il passato e quella di impegnarsi nell’eliminare quell’esclusione che invece si sta diffondendo.
Sarebbe semplicemente democrazia, ma chi si ricorda più cosa sia davvero?