La Lettura, 22 aprile 2018
Genocidio tedesco in Namibia
Nell’ultimo quindicennio dell’Ottocento la Germania aveva conquistato i territori dell’Africa sud-occidentale (l’attuale Namibia), favorendo la colonizzazione della regione a scapito delle popolazioni indigene, gli Herero in primo luogo, che cercavano inutilmente di resistere e difendere la propria terra e la propria civiltà. Nel nuovo secolo aumentarono le proteste dei nativi contro la creazione di riserve, mossa che sottraeva loro la quasi totalità della terra, e contro la costruzione di una ferrovia che impediva la coltivazione e l’abitazione in larga parte delle zone da loro possedute.
Nel gennaio 1904, sotto la guida del capo Maharero, gli Herero esplosero in una aperta ribellione che l’imperatore Guglielmo II decise di reprimere affidandone il compito al generale Lothar von Trotha, inviato sul posto per dirigere le operazioni militari in luogo del governatore Theodor Leutwein (lì dal 1894, quando aveva sostituito Heinrich Göring, il padre del futuro gerarca nazista), considerato troppo debole con le popolazioni locali. Il proclama con cui von Trotha dette inizio alle operazioni diceva: «Il popolo Herero deve lasciare il Paese. Se rifiuta lo costringerò con le cannonate. All’interno dei confini tedeschi ogni Herero, con o senza armi, con o senza mandrie, verrà fucilato. Non risparmierò neppure donne e bambini».
Aveva inizio il primo genocidio del secolo, lo sterminio di un gruppo per il solo fatto di esistere. Nella prima fase quasi 30 mila persone – che si erano arrese o erano state arrestate – vennero uccise in base all’ordine di non fare prigionieri, nella seconda altrettante perirono nei campi di lavoro e prigionia dove i tedeschi le costrinsero al lavoro forzato. Nel censimento ufficiale del 1911 restavano in vita solo circa 15 mila tra gli 85 mila Herero che erano presenti a inizio secolo.
Rimosso, dimenticato, ignorato per decenni, il massacro degli Herero è stato riscoperto dalla storiografia sui genocidi verso la fine del XX secolo, grazie anche a storici tedeschi che sono riusciti a ricostruire ogni aspetto della vicenda: che vide, ad esempio, il voto favorevole del Reichstag all’azione repressiva, ma anche, successivamente, l’opposizione dei deputati socialdemocratici (August Bebel protestò con vigore nel marzo 1904 contro i metodi «selvaggi» usati), che nel 1907 pagheranno pesantemente alle elezioni per non essersi schierati contro «quei negri che credono che l’Africa appartenga a loro piuttosto che al Signore» del quale i coloni tedeschi si sentivano rappresentanti.
La Germania tre mesi fa ha richiesto che venisse rigettata l’azione legale condotta dai discendenti Herero in una corte di New York contro Berlino nel gennaio 2017, ricordando i milioni di euro donati alla Namibia a partire dalla sua indipendenza dal Sudafrica nel 1990. E nel 2016 ha promosso al Deutsches Historisches Museum di Berlino una grande mostra sul Colonialismo tedesco. Frammenti del passato e del presente, a cui è stato affiancato un grande convegno scientifico sulla «eredità culturale del dominio coloniale tedesco». Il coinvolgimento dell’opinione pubblica nel ripensamento del genocidio Herero, da inserire in una memoria storica capace di abbracciare l’intero Novecento, è iniziato da oltre un decennio, da quando le polemiche nel corso del centesimo anniversario costrinsero, sulla base del lavoro degli storici, a riflettere sui rapporti tra un colonialismo tardivo ma brutale e il successivo periodo nazista, che avrebbe condotto alla Shoah, dentro cui nacquero la parola e il concetto di genocidio.