Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2018  aprile 22 Domenica calendario

Vita da gregario

Non vincere mai. È il destino dei «gregari» che, tra rabbia, delusioni e fatica, sacrificano il proprio potenziale per fare in modo che a trionfare siano i compagni di squadra. Sempre alle spalle del gruppo, senza nessuna possibilità di vittoria a motivarli. Wonderful Losers. A Different World, il documentario del regista lituano Arunas Matelis focalizza i suoi 71 minuti su quei ciclisti che corrono gli stessi rischi dei campioni ma raramente sperimentano la gloria di essere «il più grande».
Per sette anni, durante il prestigioso Giro d’Italia, Matelis ha seguito un piccolo gruppo di gregari del ciclismo professionistico (il canadese Svein Tuft, gli italiani Daniele Colli, Paolo Tiralongo, l’olandese Jetse Bol), i losers del titolo dei quali mai nessuno parla. Co-prodotto da Stefilm International con il sostegno della Trentino Film Commission, il documentario sarà presentato in anteprima italiana in concorso al 66esimo Trento Film Festival (martedì 1º maggio, Supercinema Vittoria, ore 17, e giovedì 3 maggio, Multisala Modena, Sala 2, ore 15.15), che si svolgerà nel capoluogo trentino dal 26 aprile al 6 maggio. «Il ciclismo si fonda sui gregari – spiega Matelis a “la Lettura” —, il 95% dei ciclisti è gregario. Questa figura è l’essenza stessa del ciclismo: è il sacrificio per la squadra, per il tuo capitano, per i tuoi compagni. Trovo sconvolgente vedere come i media presentano e identificano il ciclismo solo attraverso Armstrong o il doping, senza mai nessun riferimento allo spirito stesso di questo sport. Certo, il problema del doping esiste. Ma siamo onesti: i ciclisti non occupano certo il primo posto, come invece spesso viene raccontato. Il ruolo di questi “portatori d’acqua”, “Sancho Panza” o “domestici” del ciclismo, come talvolta vengono soprannominati, è troppo spesso trascurato».
Quello del ciclismo è un mondo che Matelis conosce a fondo. Per lui è molto più che uno sport o il soggetto di un film. «È stato il mio primo amore, il mio primo anelito di libertà – ricorda —. Pedalare è un po’ come volare. Ero un ragazzino, credo di non essermi mai piazzato tra i primi dieci, un vero perdente. Un incidente piuttosto serio mi ha poi costretto a fermarmi per sempre. Ma quel senso di fratellanza, quel sentimento caloroso di sacrificio per l’altro mi è rimasto nel cuore». Nessuno sport implica una così feroce rinuncia alla carriera personale. «La maggior parte della gente pensa che il ciclista che arriva ultimo sia un perdente – osserva Matelis —. Forse, invece, ha solo fatto tutto il possibile per permettere al suo capitano di stare in testa al gruppo e avere la possibilità di vincere». Dopo la vittoria, la prima cosa che fanno i vincitori è aspettare i loro gregari per abbracciarli. Succede lo stesso nella vita: «Ci sacrifichiamo costantemente per qualcuno – i genitori per i figli, la moglie per il marito e viceversa, ci sacrifichiamo per il lavoro...». Nel film, Matelis racconta i suoi Wonderful Losers assumendo il punto di vista di un altro esercito di invisibili: la squadra di medici (Giovanni Tredici, Massimo Branca ed Elena Della Valle, l’unica donna medico del Giro) che assiste i ciclisti prestando i primi soccorsi in condizioni impossibili, letteralmente in corsa, dai finestrini delle auto. «È stata una scelta fondamentale – spiega Matelis —. Visivamente funziona come una metafora: ricorda gli ospedali da campo, dove il guerriero ferito – il ciclista – riceve le prime cure per essere rimandato in battaglia. E anche senza assistere alla gara, la coscienza crea un intrigo, un paradosso, una sensazione (anche fisica) che spinge a capire cosa sta succedendo – perché i feriti, che nella vita normale sarebbero ricoverati in un ospedale, qui, al contrario, continuano a muoversi: non smettono di pedalare e si allontanano velocemente dopo i soccorsi medici. Una scelta valida anche dal punto di vista strettamente drammaturgico, perché mi ha permesso di intrecciare gli episodi dell’auto medica e le confessioni dei personaggi del film, rendendo chiaro allo spettatore che il gregario è l’unico a fare tutto il lavoro “sporco” (portare acqua, riparare dal vento, ecc.)».
Matelis è laureato in Matematica applicata. Come è passato da equazioni, formule, numeri e teoremi alla macchina da presa? «In realtà, la matematica non è così lontana dal fare arte o cinema, come si potrebbe invece immaginare. Direi addirittura che è molto vicina al lavoro del compositore. Il mio concetto di film è più come la musica, la danza, il balletto – immagini nello spazio piuttosto che una narrazione verbale». Prosegue: «Ai tempi della scuola ero tra i migliori allievi del primo corso di matematica di Kaunas, la mia città, in Lituania. Ma a “marchiarmi” indelebilmente furono i film di Tarkovsky, Fellini, Antonioni. È come se avessi sentito una voce: mi sussurrava che quello era il mondo che volevo esplorare. Dovevo solo trovare la strada per arrivarci».
In Wonderful Losers, Matelis mette in evidenza un altro aspetto relativo al sacrificio estremo dei gregari. Lo racconta l’episodio che ha per protagonista Daniele Colli. «Quando, per una brutta caduta durante un Giro d’Italia, Daniele è rimasto seriamente ferito, sono stati i suoi genitori, dopo l’intervento al bacino, a prendersene cura insieme al massaggiatore. Nel film mostro il padre di Daniele che gli massaggia i muscoli delle gambe mentre spiega: “Non è la prima volta che ci troviamo in questa situazione. Per me e mia moglie è stata una routine prenderci cura di lui, per quello che potevamo fare naturalmente».
Nello sport, dove il senso stesso della competizione è essere il primo e il migliore, il gregario «va oltre il proprio ego e scopre la gioia e il significato del sacrificarsi per un altro. Ed è felice di farlo. La vita di questi gladiatori e il loro codice d’onore mi ricordano gli antichi ordini cavallereschi, un codice d’onore che non ha bisogno di parole. È questa la grande bellezza del ciclismo, la sua unicità ed essenza. Si può vincere solo insieme. Una lezione che tutti dovremmo imparare»