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 2018  aprile 22 Domenica calendario

Come dipingere il Muro di Berlino

La sirena nuota, trascina falce e martello. Intorno a lei turbinano pensieri verniciati: «La libertà non sia più vergogna. Questo popolo ha scelto la luce e…». E? Colate posticce di spray coprono il testo e lasciano nel dubbio, la poesia di Fulvio Pinna resta a metà. In compenso, è chiaro che Jonas attraversa una fase positiva: «Ich liebe dich, Bea, jetzt und immer». Ti amo, ora e sempre. Finché morte non ci separi, o almeno finché un nuovo graffito non coprirà questa parete, simbolo della Guerra fredda e oggi riedizione della tela di Penelope.
Berlino, Mühlenstrasse, quartiere di Friedrichshain. I 1.361 metri di cemento che corrono fra la strada e il fiume Sprea sono la porzione più ampia rimasta in piedi della barriera che per quasi trent’anni ha spaccato in due la città e l’Europa. Il Muro. Di giorno lo puliscono, di notte lo dipingono, lo grattano, lo imbrattano. Una babele vergata a pennarello assalta le figure che per prime, dopo la rivoluzione pacifica del 1989, hanno macchiato il grigio-bianco. «A Est l’intonaco era chiaro per evidenziare le ombre dei fuggiaschi. Il nostro è stato un gesto simbolico: portare arte e colore dove c’era la morte». La cadenza sarda non è scomparsa, in trent’anni di vita in Germania. Eccolo Fulvio Pinna, quello della poesia, dell’ Inno alla gioia, murale plasmato quando per «andare all’Est le Grenztruppen ti controllavano piantando spilloni nei sedili dell’auto».
Pinna è l’unico italiano tra i 129 artisti di 21 nazionalità che nel 1990 fecero del Muro ciò che oggi si chiama East Side Gallery, un museo all’aria aperta visitato ogni anno da più di un milione di persone e dichiarato monumento nazionale nel 1991. Titolo servito a poco, perché né l’incuria né i vandali stanno alla larga. Ora, dopo molti tentativi di recupero, il distretto di Friedrichshain-Kreuzberg ha approvato la costruzione di una barriera fissa e trasparente, alta un metro. Operazione tuttora dibattuta, anche per la sua portata psicologica. Un muro che difende il Muro: la stampa ha parlato di «vallo antiturista», alludendo al «vallo antifascista» della propaganda Ddr. Ma tant’è. «Sia chiaro – dicono dall’amministrazione – che questo è un monumento nazionale».
«Davvero faranno qualcosa per difendere i murales?». Pinna arriva all’appuntamento con «la Lettura» in bicicletta. Nato nel 1948 a Furtei, nel Medio Campidano, vive a Berlino dal 1987. Oggi possiede una galleria d’arte in zona Zoologischer Garten ma già allora trovava una personale ribalta. Nel dicembre 1989 la Galerie M espone i suoi lavori nella Ddr: «Il gestore mi raccontò che aveva agito sull’onda dell’euforia, poi erano iniziati i tormenti: chiamo un pittore dell’Ovest, cosa mi succederà? Il 9 novembre 1989 il Muro era caduto ma, nella mente di tutti, resisteva». L’idea di creare un memoriale sulla massicciata della Mühlenstrasse nasce tra 1989 e 1990. «L’irlandese Christine MacLean avviò le pratiche burocratiche, ci fu una selezione». Pinna dipinge vicino a Oberbaumbrücke. La barriera diventa un’enorme tela. Alcune figure sono icone planetarie, come la Trabant di Birgit Kinder, tedesca della Ddr, o «il bacio fraterno» fra Honecker e Brežnev, emblema della stagnazione firmato dal russo Dmitri Vrubel.
I murales sono 107. Gli artisti ne chiedono la difesa. Pinna ha una sua filosofia: «Abbiamo regalato le opere alla città, la città le tuteli». Nel 2009 lo Stato ha stanziato 2 milioni di euro per un recupero completo, richiamando gli autori e chiedendo di rinnovare i graffiti: hanno risposto in 85 da 18 Paesi. Cinque quadri sono grigi: i titolari, ritenendo ridicolo il compenso di 3 mila euro a testa e opponendosi alle tinteggiature, hanno fatto causa per violazione del copyright. Paradossale per un monumento della street art? Fra gli stessi pionieri del ’90 il dibattito è vivace. Lo svizzero Patrizio Porracchia, autore di Der Blitz, dice: «Non condivido la difesa a ogni costo dei disegni originali. Noi abbiamo lanciato il nostro messaggio, adesso è giusto che lo facciano altri». La sua opera, però, non fa i conti solo con graffiti posticci: è stata sventrata da un cantiere. Le stesse autorità che devono difendere il memoriale hanno infatti avallato la costruzione di case attorno a esso.
La street art assedia i palazzi, i palazzi assediano la street art. Berlino, «povera ma sexy» (per l’ex sindaco Klaus Wowereit) solo nei ricordi, pulsa di piani edilizi. Il caso Mühlenstrasse è emblematico ma uno fra tanti. Basti pensare al murale di Eduardo Paolozzi «ritrovato» su Kurfürstenstrasse, un tatuaggio bianco e nero di 990 metri quadrati del pioniere della pop art datato 1976: uscito vincitore da un concorso indetto dal Senato, resistette 4 anni per poi essere oscurato dalla sede di una banca. Oggi la banca è in demolizione e l’arte si riaffaccia, vincendo una battaglia ma non la guerra: nel 2020 un nuovo palazzo sostituirà il vecchio. «Collaboriamo spesso con gli immobiliaristi – ha spiegato al “Guardian” Toby Treves, della fondazione Paolozzi – ma spesso non si sa chi sia responsabile dell’arte pubblica». A volte è l’autore a sancire l’eutanasia: il marchigiano Blu, mal digerendo l’idea che le sue opere in Cuvrystrasse fossero «vendute» come vista esclusiva di loft che avevano sfrattato una comune di creativi, nel 2014 le ha cancellate. Anche Weltbaum, l’«Albero del mondo» ideato nel 1975 da Ben Wagin a Tiergarten, sarà inghiottito dalle case. Per l’autore, oggi ultraottantenne «le città sono buche di sabbia. Passi secoli costruendo il tuo castello, poi arriva l’onda e lava via tutto...». Ma se il suo Albero ricrescerà – i residenti hanno offerto una nuova parete e il soggetto sarà replicato a spese dei costruttori – l’«onda» immobiliare è stata meno clemente con la East Side Gallery, dove sono state rimosse decine di metri di Muro. C’è la promessa di ricollocazione a fine lavori ma ora qualche blocco (graffiti inclusi) è sparito, altri stanno ammassati, parcheggiati in doppia fila. Viel Glück, buona fortuna.