Il Sole 24 Ore, 22 aprile 2018
I segreti di Mariangela Melato
Ormai malata terminale, ricoverata presso la clinica Anthea attigua al Policlinico Gemelli di Roma, Mariangela Melato si rifiutò categoricamente di incontrare la psicologa del reparto oncologico, pur caldeggiata da medici e amici: «No, io non posso, non posso... perché quella mi chiederebbe di parlare della mia infanzia... No!». Peccato che ora, della sua infanzia e molto oltre, ne parlino gli altri, ad esempio Michele Sancisi, che ha appena licenziato, a cinque anni dalla morte dell’attrice – l’11 gennaio del 2013 –, una ponderosa biografia per i tipi di Bompiani (confluiti da poco nel gruppo Giunti).
Siamo sicuri di volere sapere Tutto su Mariangela? Se sì, questo è un testo essenziale, ricchissimo ed esaustivo, sin dei dettagli pruriginosi: «È una premura (quella della privacy, ndr) comprensibile anche oggi, che comunque non coincide con l’avallare il totale occultamento», si difende l’autore a un certo punto, spiattellando intanto una liaison clandestina. D’altronde, la virtù di una buona biografia – al contrario di una stucchevole e retorica agiografia – è pure il suo peggiore vizio: l’impudicizia.
Le pagine inedite – più di gossip, verrebbe da dire – sono proprio quelle riguardanti l’infanzia e gli amori occulti di MM, nata a Milano nel 1941 sotto il segno della Vergine, definita qui, da testimonianze diverse, «una combattente con il candore di una ragazzina, magnetica, disciplinata, molto attenta, ironica, esuberante eppur malinconica, ambiziosissima, studiosissima, solitaria, una che non molla e che non si lamenta mai di niente».
Di una tempra formidabile, l’artista resistette, contro ogni pronostico medico, anche alla malattia, alle chemio, ai bisturi, che la consumarono nei suoi ultimi tre anni di vita. Di lei colpiva soprattutto «non la sua presenza, ma il carattere: era professionale, allegra, ha sempre sposato il lavoro... Poi chi la conosce meglio nota anche la sua abilità nel calcolare, la sua determinazione verso «una carriera fatta tutta di punteggiamenti, di scalinate a salire».
Era una meticcia Mariangela: per metà austroungarica e per metà milanesissima, seconda di tre figli, più un fratellastro morto prematuramente. Il padre Adolfo Hönig, italianizzato in Melato (per assonanza con il tedesco “Honig”, miele), era un cittadino della Trieste austriaca non ancora «redenta», poi espatriato a Milano, arruolato nella seconda guerra mondiale, deportato a Buchenwald, rientrato con una fuga rocambolesca e assunto come «ghisa», vigile urbano. La madre, Lina Fabbrica, era invece una “milanese milanese”, di professione sarta.
Fu una bambina brutta MM, taciturna al limite del deficit di apprendimento e malaticcia: soffrì per tutta l’infanzia e l’adolescenza di una terribile dermatite atopica, probabilmente psicosomatica, che le sfregiava i lineamenti e la costringeva a inestetiche bende su tutto il corpo. Ottenne la terza media a 15 anni, all’istituto “speciale” Trotter per alunni con problemi psichici e/o fisici; poi si iscrisse a un corso serale di pittura alla Scuola d’Arte del Castello, mentre di giorno lavorava come vetrinista in Rinascente, promossa nientemeno che da Giorgio Armani. In quegli anni – i Sessanta – frequentò il bar Jamaica di artisti, attori e pittori e venne ammessa alla prestigiosa Accademia dei Filodrammatici, che però abbandonò prima di conseguire il diploma per seguire a Bolzano «Il Carrozzone» di Fantasio Piccoli, mollato anch’esso anzitempo.
«Lei aveva fretta», e a ragione. La svolta arrivò con Dario Fo e Franca Rame: il primo intuì subito la sua naturale vocazione per il palcoscenico, la seconda la aiutò (forse anche economicamente) a rifarsi i lineamenti con una prima operazione al naso, cui seguì tutta la «ristrutturazione fisica», sin nella magrezza, su consiglio di Luchino Visconti.
La biografia è altresì un racconto corale: procede a più voci, soprattutto quelle di amici e conoscenti, da Renzo Arbore a Sergio Castellitto, dalla sorella (minore) Anna a Gabriele Lavia. E poi, Renato Pozzetto, Cochi Ponzoni, Lino Patruno... Ogni volta è incredibile constatare che gli amici di artisti famosi siano sempre altri artisti famosi, benché ai tempi del sodalizio nessuno avesse scommesso una lira sui reciproci, futuri successi.
Tra le relazioni artistiche più feconde ci furono quella televisiva con Pippo Baudo, che la rese popolare al grande pubblico conCanzonissima, quella cinematografica con Lina Wertmüller (Mimì metallurgico...; Travolti da un insolito destino...) e quella teatrale con Luca Ronconi, che di fatto lanciò la Melato nel 1969, con una pur piccola parte nell’Orlando, e che per ultimo la diresse in Nora alla prova nel 2011.
Mariangela lavorò con i migliori, sul palco così come sullo schermo: Strehler, Sepe, Monicelli, Avati, Petri... senza contare la parentesi di carriera americana, i tanti premi, le copertine, i paparazzi. Pur diva, non riuscì mai a sentirsi bella né fatale: la Loren la soprannominò perfidamente «la Picassa», per via dei suoi occhi grandi e distanti, e Sorrisi e Canzoni una volta le dedicò il sibillino servizio «La racchia sexy».
Oltre ad Arbore, suo grande e tormentato amore fu Giorgio Gaber; viceversa, nonostante la sua affabilità, non le mancarono screzi (con Vittorio Gassman), tensioni (con Elisabetta Pozzi), rifiuti (a un’offerta milionaria di Berlusconi) e contenziosi giudiziari (con Garinei e Giovannini). In prova, però, tutti apprezzavano la sua diplomazia e professionalità, la sua leggerezza mai sarcastica, la sua pervicacia, la sua totale abnegazione e dedizione, il suo riserbo.
A dispetto del talento per la pittura e la danza, e una irrefrenabile passione per la commedia musicale e commerciale, MM eccelse soprattutto in quell’arte chiamata drammatica, lei «stella di ringhiera», capace di incredibili metamorfosi, come Fedra oBisbetica domata, Madre coraggio o prostituta, bambina o ultracentenaria. Per Tutto (il resto) su Mariangela, leggete Sancisi.
Michele Sancisi, Tutto su Mariangela, Bompiani-Giunti, Milano,
pagg. 400, € 19