Il Sole 24 Ore, 22 aprile 2018
Alle radici dei numeri
Nel 2011 fu pubblicato, a cura di Stanislas Dehaene e Elisabeth Brannon, un libro importantissimo di neurobiologia cognitiva comparata, Space, Time and Number in The Brain Searching For the Foundations of the Mathematical Thought nel quale fu dimostrato da diversi scienziati (alcuni italiani) che nessun animale potrebbe sopravvivere senza i meccanismi nervosi dell’orientamento spaziotemporale e senza una valutazione numerica del mondo quantomeno elementare. Ad esempio, i piccoli pesci si salvano valutando le dimensioni dei branchi, perché solo all’interno di quelli molto numerosi possono evitare di finire nelle fauci di caimani e di grossi pesci.
Nel 2014 Giorgio Vallortigara, uno dei coautori del libro, pubblicò, assieme con Nicla Panciera, Cervelli che contano, uno studio di come uomini e animali ordinino la rappresentazione e il conteggio di quantità o con simboli matematici (di cui solo il cervello umano è capace) e/o col senso intuitivo delle numerosità, cioè delle grandezze numeriche, che é sempre la percezione di una caratteristica spaziale degli oggetti. Essa è una funzione cognitiva della massima importanza, diversa da capacità simboliche come i numeri e il linguaggio. Fino a pochi secoli fa la stragrande maggioranza del genere umano era analfabeta, eppure sapeva cavarsela bene negli affari e negli scambi.
Alcuni dei collaboratori del primo libro, fra i quali Giorgio Vallortigara, e altri scienziati (fra i quali gli italiani Marco Zorzi, A. Testolin, Christain Agrillo, Angelo Bisazza, Rosa Rugani, Carlo Semenza e Silvia Benavides-Varela), si sono incontrati in Inghilterra nel gennaio e febbraio 2017 per un bilancio degli studi di biologia cognitiva ed evoluzionistica circa le strutture e le origini biologiche e il percorso evoluzionistico delle capacità numeriche.
Anche se l’uomo è l’unica specie dotata del codice linguistico simbolico dei numeri, dati comportamentali ed elettrofisiologici confermano che la rappresentazione del numero è condivisa da altre specie animali, anche apparentemente semplici come gli insetti, dei quali s’occupa un saggio. Il meccanismo di base comune è confermato, fra l’altro, dal fatto che tutte le specie animali, la umana compresa, nonostante le differenze anche enormi fra i loro meccanismi cognitivi, obbediscono alla legge di Weber. Essa afferma che la probabilità di apprezzare correttamente la differenza fra due grandezza é tanto più bassa quanto più è piccola la differenza fra i due stimoli. La rana distingue al volo il mucchietto di quattro larve da quello di otto, ma non da quello di sei.
Il dilemma è se la numerosità è avvertita direttamente da un particolare senso e organo del numero (o della numerosità), o indirettamente, ad esempio valutando la densità o il volume di ciò che si esamina. Secondo il neuroscienziato C.R. Gallistel la simbologia numerica sarebbe fissata a livello molecolare, in filiere come quelle dei polinucleotidi. Esse sarebbero la base strutturale e funzionale dell’abilità del cervello di rappresentare ogni tipo di quantità, non solo quella numerica.
Altri autori espongono teorie diverse. L’evoluzione dell’abilità numerica, solo nell’uomo giunta alla simbologia matematica, ha impiegato moltissimo tempo, perché di essa si trovano le radici nella biologia della più remota antichità.
Il problema dei numeri, per il filosofo Marcus Giaquinto, è di capire il nostro accesso cognitivo ai numeri cardinali, che, pur indicando la quantità di un insieme, sono esclusivamente astratti. Euclide definì il numero una moltitudine di unità, cioè una moltitudine di singolarità, che i nostri meccanismi cognitivi sono in grado di tener distinte. Bertrand Russell ha scritto nell’Introduzione alla filosofia della matematica del 1919, che c’è voluto moltissimo tempo per rendersi conto che una coppia di fagiani e una coppia di giorni sono entrambe espressioni del numero 2, e lo stesso per rendersi conto che 1 è un numero e che cosa significa «aggiungere 1». Solo circa 80 anni orsono s’è capito, e poi confermato, che il senso della numerosità é comune a tutto il mondo animale.
Un dato biologico rilevante è che nei bambini e nei primati si attivano identiche regioni cerebrali per la rappresentazione delle magnitudini, le stesse che, negli uomini adulti, s’attivano per l’intelligenza matematica. Il lento passaggio evolutivo dal senso della numerosità degli animali a quello matematico e simbolico umano è ricostruito, sulla scorta di reperti risalenti agli albori del Paleolitico superiore (circa 35-38.000 anni a.C.) da d’Errico e Coll.
Già allora s’usavano strumenti di memoria e registrazione della numerosità, quando ancora non esisteva il simbolo numerico. Si sono rinvenuti artefatti ossei con incisioni sequenziali (di cui sono riprodotte immagini impressionanti) che altro non possono essere che annotazioni di numerosità.
Un gran numero di incisioni (sono linee parallele che registrano verosimilmente percezioni prevalentemente tattili o visive) non può non indicare quantità superiori a quelle di incisioni con meno tacche. Incisioni regolari su un femore di iena scoperto in Francia alla fine del XIX secolo sono le prime testimonianze di registrazioni di numerosità dell’uomo di Neanderthal. Altre, con incisioni analoghe, si sono scoperte in Africa. Annotazioni numeriche erano quindi diffuse fra ominidi arcaici, come lo erano capacità numeriche elementari, ma non meno complesse, in specie non umane.
I biolinguisti Mark Pagel ed Andrew Meade rilevano che in tre famiglie linguistiche indoeuropee le parole che si riferiscono ai numeri, specie da due a cinque, sono le più longeve. Esse sono state sostituite solo nel corso di millenni: ad esempio, se per la parola husband (marito) e wife (moglie) ci sono 43 e 37 sinonimi, non c’è sinonimo per i numeri. Ciò è la conferma di loro radici, profonde e tenaci, nel sistema nervoso, ancor prima che sorgesse il concetto di numero.
Tutti i temi trattati convergono a corroborare e confermare che la capacità di rappresentare astrattamente grandezze come distanze, durate, e quantità numeriche di un insieme, e il rapporto cognitivo fra numero e spazio (di cui tratta in particolare Vallortigara) sono funzioni cerebrali fondamentali con radici evoluzionistiche remote. Gli animali sono capaci di rappresentare quantità astratte come gli esseri umani. Ciò conferma l’opinione di Charles Darwin, che gli uomini hanno gli stessi sensi degli animali e le stesse intuizioni fondamentali: i meccanismi cognitivi di ogni specie sono stati selezionati dall’evoluzione e seguono i principi universali dell’architettura cognitiva.
ajb@bluewin.ch
B. Butterworth, C.R. Gallistel, G. Vallortigara,The origins of numerical abilities, Philosophical Transactions Royal Society B. February 16 2018