La Stampa, 22 aprile 2018
In India la scuola con un solo alunno
Lontano dalla mille luci di Mumbai, nel cuore dello Stato del Maharashtra, c’è la più piccola scuola del mondo che resta aperta per un’unica alunna nel suo grembiulino blu. Tanu Madavi maschera gli occhi sotto una frangetta che finisce in una coda di cavallo e nasconde il sorriso sotto il velo della timidezza dei suoi 9 anni.
Ogni mattina siede su un tappeto che copre un pavimento in pietra di 5 metri quadrati, dentro una catapecchia con quattro pareti d’alluminio dipinte di bianco e tappezzate di poster gialli con i sinonimi della lingua Marathi.
C’è un’unica seggiola di legno. Ma è per il maestro e preside Arun Satpute, un cinquantenne che si fa ogni giorno un’ora di motocicletta per arrivare fino al villaggio di Kopra e quando piove deve lasciare le due ruote sulla statale e farsi gli ultimi 3 km a piedi nudi nel fango della sterrata.
Gli orari dell’estate indiana sono pianificati per dare respiro dall’arsura che arroventa il sub-continente tra aprile e maggio. Tanu arriva a piedi a scuola alle 7 dove incontra il maestro Satpute. Studiano assieme fino alle 11 con una pausa a metà mattina di 20 minuti. Poi corre a casa e si piazza davanti al televisore, cercando di non sudare troppo. La baracca con lavagna e sussidiari era la mensa di una ex scuola, ora diroccata, dove Tanu si siede a mangiare da sola la sua merendina nell’intervallo, tra la sterpaglia e, dicono, il rischio di qualche serpente che s’è trasferito lì. Poi si ricomincia a studiare grammatica, inglese, aritmetica e scienze sociali.
Fino all’anno scorso Tanu non era così sola. C’era anche Prem, suo fratello di 11 anni che però ora è grandicello, ha finito le elementari e iniziato le medie altrove. Tanu è triste e malinconica senza di lui. Il maestro dice che la bimba si concentrava meglio quando c’era quel secchione di Prem. E almeno erano in due. Ma i genitori, guardiani di capre in stato di povertà, non hanno il tempo di accompagnarla e non si fidano a lasciarla andare da sola.
Vent’anni fa, una piena del fiume Wana si portò via mezzo villaggio. Il governo ricostruì il paesino lontano dalle acque. Quasi tutti si sono trasferiti a New Kopra. Raju Madavi, il padre di Tanu, ha ricevuto un terreno gratuito nel nuovo villaggio, ma non ha i soldi per costruirci una casa: «Non importa se ci piaccia o no vivere qui, non abbiamo alternative».
Guadagnare 250 rupie al giorno, 3 euro, è troppo poco anche per il contesto indiano. Quindi i Madavi se ne rimangono nella vecchia Kopra, assieme ad altre 60 persone senza soldi e con i bimbi troppo piccoli per andare a scuola.
Tra il fruscio delle foglie sugli alberi, il cinguettio degli uccellini e il belare della capre, scorre nella solitudine bucolica la mattinata di Tanu che dice di non veder l’ora di crescere, che passino gli altri due anni di queste elementari per poter iniziare anche lei a correre a New Kopra, assieme a Prem.
La storia, in controtendenza con gli orrori dei maltrattamenti alle bambine indiane o i rapporti senza alcun rispetto tra alunni e insegnanti di cui si parla in Italia, l’ha scovata il reporter Tariq Engineer del «Mumbai Mirror» avventurandosi tra le campagne di quest’India profonda a scoprire cosa ci sia dietro la dolcezza e solitudine della vicenda.
In verità, la sopravvivenza di questo bussolotto di latta, ex mensa adattata a unica aula della scuola in una stanza, è in controtendenza. La modernizzazione indiana spingerebbe lontano dai doveri di quella che secondo la Costituzione è ancora un Repubblica Socialista, e il governo del Maharashtra a dicembre ha annunciato infatti che chiuderà le quattromila scuole di campagna con meno di 10 studenti, sintomo e concausa dell’urbanizzazione che progressivamente affievolisce la demografia rurale. È come ovunque: per le scuole pubbliche non ci sono soldi. Inoltre, tra la disapprovazione di molti, si sono aperte le vendite di concessioni per le scuole private.
Ma la piccola aula bianca di Kopra resiste perché secondo la Legge per il Diritto all’Istruzione tutti i bambini indiani tra i 6 e i 14 anni devono obbligatoriamente frequentare. Se un istituto ha meno di 20 studenti, dovrebbe unificarsi a un’altra scuola, fintantoché si trova nel raggio di 1 km. Ma la vecchia Kopra inondata è a 3 km dal nuovo villaggio.
E così la piccola e solitaria Tanu, che sogna di diventare medico da grande, per altri due anni reciterà poesie, imparerà a far di calcolo e studierà l’a b c dell’inglese, ogni mattina, lei e il maestro Satpute, nella scuola più piccola del mondo.